Capitoli

  1. Crisi d’impresa, salta la riforma della amministrazione straordinaria. ‘Comanda il ministero, pagano i contribuenti’
  2. La reticenza del ministero su costi e risultati dei commissariamenti
  3. Il tentativo fallito: meno potere al ministro, giudizio del tribunale sul piano 
  4. Più tutele per i creditori e fuori le aziende non strategiche
  5. Il nodo degli incarichi multipli e dei compensi dei commissari
  6. "Operazione trasparenza" di Calenda. Ma è una foglia di fico
Lobby

Il tentativo fallito: meno potere al ministro, giudizio del tribunale sul piano  - 3/6

Il ddl che rivede le norme sulle procedure di insolvenza ha perso il pezzo sulle grandi aziende. Che continueranno a essere gestire da uno o più commissari nominati dal titolare dello Sviluppo. "Un sistema unico al mondo e inefficiente", spiega un membro della commissione incaricata di scrivere il testo. "Ma consente alla politica di prospettare continuità aziendale e decidere le nomine. I costi ricadono sulla collettività". Vedi Alitalia

Nemmeno la lunga teorica di esperti che via Veneto ha inviato nella sottocommissione composta dal magistrato e dall’ex sottosegretario ed ex vicepresidente del Csm Michele Vietti ha portato dati. Solo dubbi e perplessità sulla riforma. Comunque a fine 2015 la Rordorf, dribblando i rallentamenti, ha partorito una bozza di ddl, che a marzo 2016 dopo il via libera del consiglio dei ministri è approdata alla Camera. L’articolo 15 era dedicato proprio alle amministrazioni straordinarie. L’obiettivo era sottrarre al ministro dello Sviluppo la decisione sull’ammissione dell’azienda all’amministrazione straordinaria (oggi la Marzano gli consente di procedere per decreto) e affidarla ai tribunali, come avviene per i concordati e le liquidazioni ordinarie. Il giudice avrebbe dovuto pronunciarsi a favore, previo parere favorevole del ministero, solo dopo aver verificato l’esistenza di “concrete prospettive di recupero dell’equilibrio economico delle attività imprenditoriali” sulla base del piano scritto dal commissario. Che il ministro avrebbe dovuto scegliere tra gli iscritti ad un nuovo albo, con requisiti di “indipendenza, professionalità, onorabilità e trasparenza”.

Il giudizio preventivo sul piano avrebbe eliminato la possibilità di rimandare la prognosi sull’effettiva capacità dell’impresa di superare la crisi. Un rinvio il cui unico risultato, nota il consigliere di Cassazione, è di “generare costi in termini di consulenze e compensi dei commissari, oltre che per la prosecuzione di un’attività che nella maggior parte dei casi è destinata comunque a finire”. Costi che spesso ricadono sui contribuenti, a suon di prestiti con soldi pubblici e cassa integrazione privilegiata.