Capitoli

  1. Crisi d’impresa, salta la riforma della amministrazione straordinaria. ‘Comanda il ministero, pagano i contribuenti’
  2. La reticenza del ministero su costi e risultati dei commissariamenti
  3. Il tentativo fallito: meno potere al ministro, giudizio del tribunale sul piano 
  4. Più tutele per i creditori e fuori le aziende non strategiche
  5. Il nodo degli incarichi multipli e dei compensi dei commissari
  6. "Operazione trasparenza" di Calenda. Ma è una foglia di fico
Lobby

"Operazione trasparenza" di Calenda. Ma è una foglia di fico - 6/6

Il ddl che rivede le norme sulle procedure di insolvenza ha perso il pezzo sulle grandi aziende. Che continueranno a essere gestire da uno o più commissari nominati dal titolare dello Sviluppo. "Un sistema unico al mondo e inefficiente", spiega un membro della commissione incaricata di scrivere il testo. "Ma consente alla politica di prospettare continuità aziendale e decidere le nomine. I costi ricadono sulla collettività". Vedi Alitalia

Nel novembre 2016, quando la riforma dell’amministrazione straordinaria era già stata stralciata, Carlo Calenda ha firmato un decreto ministeriale che stabilisce nuovi parametri ad hoc: per l’attività di gestione dell’impresa il commissario prende ora lo 0,25% dei ricavi da vendite e prestazioni se inferiori a 100 milioni, lo 0,15% se superiori. Se il commissariamento sfocia nella vendita degli attivi riceve invece una quota dell’attivo realizzato e una percentuale del passivo e delle somme ripartite ai creditori. Si prevede poi una decurtazione del 50% se l’azienda finisce per fallire. Quanto alla scelta dei nomi, lo scorso novembre il ministro con un decreto a sua firma ha individuato tre “esperti“, tra cui proprio Enrico Bondi, che sono stati incaricati della “selezione dei professionisti da sottoporre alla valutazione del Ministro”. I nominati da Calenda, dunque, selezioneranno professionisti da proporre a Calenda per le future nomine. Una “operazione trasparenza” – così l’ha definita via Veneto – che non risolve il problema di fondo: le redini della procedura restano al ministro, che avrà comunque l’ultima parola. Senza alcun controllo esterno sull’efficienza, sui tempi e sui costi scaricati sui contribuenti.