Capitoli

  1. Crisi d’impresa, salta la riforma della amministrazione straordinaria. ‘Comanda il ministero, pagano i contribuenti’
  2. La reticenza del ministero su costi e risultati dei commissariamenti
  3. Il tentativo fallito: meno potere al ministro, giudizio del tribunale sul piano 
  4. Più tutele per i creditori e fuori le aziende non strategiche
  5. Il nodo degli incarichi multipli e dei compensi dei commissari
  6. "Operazione trasparenza" di Calenda. Ma è una foglia di fico
Lobby

Più tutele per i creditori e fuori le aziende non strategiche - 4/6

Il ddl che rivede le norme sulle procedure di insolvenza ha perso il pezzo sulle grandi aziende. Che continueranno a essere gestire da uno o più commissari nominati dal titolare dello Sviluppo. "Un sistema unico al mondo e inefficiente", spiega un membro della commissione incaricata di scrivere il testo. "Ma consente alla politica di prospettare continuità aziendale e decidere le nomine. I costi ricadono sulla collettività". Vedi Alitalia

Il comitato di sorveglianza avrebbe poi dovuto includere rappresentanti dei creditori, cosa che oggi non avviene. “In questo modo la regolazione del conflitto tra debitore e creditori sarebbe stata sottratta a un’autorità amministrativa che non tiene conto dei loro diritti e della loro valutazione sulla fattibilità economica delle proposte dei commissari”, spiega Ferro. Altro punto fondamentale, un gruppo di creditori avrebbe avuto facoltà di chiedere la conversione dell’amministrazione straordinaria in liquidazione giudiziale ordinaria in caso di assenza delle stesse “concrete prospettive di recupero”.

Alla procedura avrebbero avuto accesso solo le imprese che hanno almeno 400 dipendenti (800 in caso di gruppi di aziende) e un “rilevante profilo dimensionale” dal punto di vista del volume di affari, da dettagliare nel decreto attuativo. Via Veneto, era la proposta di compromesso uscita dalla commissione Rordorf, avrebbe potuto continuare a chiedere l’accesso immediato all’amministrazione straordinaria per le società quotate, le imprese con almeno mille dipendenti, quelle attive nei servizi pubblici essenziali o in settori strategici e di interesse nazionale. “In questo modo si sarebbe perlomeno ridotto il raggio d’azione di una deroga che ora vale anche per imprese grandi ma senza nulla di strategico per il Paese”, continua il magistrato. Nella lista sul sito del Mise ci sono infatti aziende tessili, calzifici, società di sicurezza privata, call center, un istituto di formazione della Cisl, una casa di cura.