Capitoli

  1. Riforma Madia, rivoluzione mancata. Su partecipate, dirigenti intoccabili, licenziamenti e meritocrazia tante occasioni perse
  2. Sui licenziamenti nulla di nuovo rispetto alla riforma Brunetta
  3. Obiettivi fumosi e organismi di valutazione nominati dalla politica
  4. Ai premi di risultato vanno le briciole: "500-600 euro all'anno"
  5. Non passa la riforma della dirigenza: addio ruolo unico
  6. La sforbiciata alle partecipate pubbliche? "Misure irrilevanti o dannose"
Lobby

Non passa la riforma della dirigenza: addio ruolo unico - 5/6

E' il settimo intervento "rivoluzionario" di riordino della pubblica amministrazione nell'arco di 24 anni. E doveva essere un fiore all'occhiello del governo Renzi. Ma i furbetti del cartellino erano licenziabili anche prima, i sistemi di valutazione dei risultati rimangono discrezionali, il ruolo unico per la dirigenza è saltato e la sforbiciata alle aziende pubbliche è depotenziata. L'economista: "Sullo sfondo resta una logica di forte influenza della politica"

Sui dirigenti statali, i veri inamovibili della Repubblica, è andata anche peggio. Una débâcle totale. “C’era nell’amministrazione pubblica una perversione che arrivava a costruire degli intoccabili che crescevano sempre di più. C’era chi diceva che erano intoccabili perché senza di loro crollava il ministero. Ma nessuno deve essere insostituibile”, ragionava la Madia nel settembre 2015, annunciando l’arrivo di un decreto attuativo che avrebbe scardinato il sistema attraverso il ruolo unico e il licenziamento per i grand commis pubblici che, persa una poltrona, rimanessero per diversi anni senza incarico. Nell’agosto 2016, dopo un rinvio dovuto alle resistenze dei boiardi di Stato e a pochi giorni dalla scadenza della delega, il testo è arrivato. Ma a novembre la Consulta ha bocciato il provvedimento, insieme ad altri tre, perché varato con il solo “parere“della Conferenza Stato-Regioni invece della necessaria intesa. A quel punto la delega era scaduta e addio decreto (peraltro già demolito dal Consiglio di Stato che aveva rilevato l’assenza di nuovi sistemi di valutazione). Tripudio del sindacato dei dirigenti pubblici, che avevano gridato allo scandalo sostenendo che l’intenzione del governo era evidentemente quella di “distruggere i servitori dello Stato” nonché “annichilire, asservire, sottomettere la dirigenza pubblica”. “E’ stato un vero un peccato”, è invece il giudizio di Marta Barbieri. “Potenziare la classe dirigente pubblica è un obiettivo in cui hanno investito tutti i Paesi Ocse”. Oliveri fa però notare che il decreto era a rischio incostituzionalità, perché di fatto avrebbe trasformato dirigenti a tempo indeterminato in “lavoratori a chiamata”. Quanto alla licenziabilità, sulla carta c’è: la riforma del 2009 la prevede come extrema ratio nei casi di “mancato raggiungimento degli obiettivi” o “inosservanza delle direttive”.