Capitoli

  1. Riforma Madia, rivoluzione mancata. Su partecipate, dirigenti intoccabili, licenziamenti e meritocrazia tante occasioni perse
  2. Sui licenziamenti nulla di nuovo rispetto alla riforma Brunetta
  3. Obiettivi fumosi e organismi di valutazione nominati dalla politica
  4. Ai premi di risultato vanno le briciole: "500-600 euro all'anno"
  5. Non passa la riforma della dirigenza: addio ruolo unico
  6. La sforbiciata alle partecipate pubbliche? "Misure irrilevanti o dannose"
Lobby

Ai premi di risultato vanno le briciole: "500-600 euro all'anno" - 4/6

E' il settimo intervento "rivoluzionario" di riordino della pubblica amministrazione nell'arco di 24 anni. E doveva essere un fiore all'occhiello del governo Renzi. Ma i furbetti del cartellino erano licenziabili anche prima, i sistemi di valutazione dei risultati rimangono discrezionali, il ruolo unico per la dirigenza è saltato e la sforbiciata alle aziende pubbliche è depotenziata. L'economista: "Sullo sfondo resta una logica di forte influenza della politica"

L’altra faccia del cambiamento all’insegna della meritocrazia avrebbero dovuto essere i premi alla produttività differenziati e non a pioggia. Ma la distribuzione dei premi dipende dalle valutazioni troppo discrezionali di cui sopra. In più, se il principio di base è giusto, le cifre in ballo sono davvero piccole. “Ci sono eccezioni, ma in media parliamo di 500-600 euro l’anno“, quantifica Barbieri. “Per i dipendenti degli enti locali la parte accessoria del salario può arrivare a 4mila euro annui su un totale di 29mila”, aggiunge Oliveri. “Ma attenzione, nella parte accessoria sono compresi anche straordinari e indennità per i turni e le reperibilità”. E l’ultimo decreto Madia si limita a stabilire che a premiare la performance vada la “quota prevalente” di questa fetta, esattamente come prevedeva il decreto Brunetta. La vera differenza rispetto alla norma del 2009 è che viene meno l’obbligo di dividere i dipendenti di ogni amministrazione statale in tre fasce di merito azzerando del tutto i premi per quelli che finiscono nella più bassa. Ma quel che più ha fatto storcere il naso ai giuristi è che la riforma del pubblico impiego, oltre a sancire che per gli statali continuano a valere le tutele dell’articolo 18, dice esplicitamente che la contrattazione nazionale potrà derogare alle disposizioni di legge, regolamento o statuto sul lavoro nella pa. E sempre alle complicate intese tra Stato (attraverso l’agenzia Aran) e sindacati, che nei prossimi mesi dovranno trovare la quadra sul rinnovo dei contratti congelati dal 2010, è demandato il capitolo delle progressioni economiche.