Un solo voto per un pacchetto completo (partito, candidato uninominale e listino), i capilista in corsia preferenziale e multicandidature, maggioranze da comporre in Parlamento. Ecco il sistema su cui si sono accordati (per ora) Pd, Fi e M5s. Che con il sistema usato a Berlino non c'entra niente. Governabilità e rappresentanza? Molto poche
Il meccanismo per scegliere gli eletti
(c’è chi può vince nel collegio, ma non vincere il seggio)
Le prime scelte saranno i capilista dei listini bloccati. Stando a un calcolo di Repubblica, i capilista sono 156. Poi si scelgono i vincitori dei 303 collegi. Infine i 147 candidati da scegliere tra i secondi, i terzi, i quarti e così via del listino bloccato. Un meccanismo che agevola i dirigenti più importanti e in vista di un partito: ci sarà la corsa a occupare la posizione del capolista del listino.
C’è un’unica eccezione: se chi vince nel collegio, lo fa con oltre il 50 per cento dei voti, allora ha la precedenza sui candidati del listino. Ma l’eccezione sarà così rara da non essere quasi presa in considerazione.
Uno schema così fa imbizzarrire i parlamentari eletti nelle Regioni rosse, che chissà se esistono ancora. Nelle Regioni dove il Pd è molto forte – è l’obiezione di molti deputati di Emilia Romagna, Toscana, Umbria e Marche – è che i candidati democratici di tutti i collegi di quelle Regioni potrebbero arrivare primi, ma una parte di essi non verrebbe eletto perché la distribuzione dei seggi complessiva sarebbe proporzionale. Un’obiezione sollevata tra gli altri dagli orlandiani Andrea Martella, Enzo Lattica, Andrea Giorgis o Valter Verini.