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Internazionali di Roma: il trionfo del business, il clamore mediatico e la mediocrità del tennis italiano

L'edizione 2017 è stata un successo assoluto in termini di incassi, spettatori e giro d'affari che candidano il torneo capitolino al ruolo di quinto slam del circuito Atp. A far da contraltare il momento difficilissimo del movimento nostrano, ancora dipendente dallo stato di forma e mentale di Fognini. Dietro di lui, però, c'è il nulla. Il rischio è avere una manifestazione top con giocatori italiani flop

Record di spettatori, record di incassi, pioggia di milioni. Gli Internazionali di Roma 2017 sono stati l’ennesimo successo per la FederTennis del presidente Angelo Binaghi. Solo economico, però, visto che in campo il torneo che ha incoronato Alexander Zverev come nuovo astro nascente del tennis mondiale ha riservato agli azzurri poche gioie e tante delusioni. I numeri dell’edizione 2017 sono ancora più clamorosi di quelli dello scorso anno: 222.425 spettatori paganti (+10%), oltre 12 milioni di euro di incassi dalla sola biglietteria (e non si fa fatica a crederlo, con i prezzi della finale a partire da un minimo di 140 euro, fino a un massimo di 430). Se non sarà anche record di fatturato, sarà solo per un paio di incidenti di percorso (un contenzioso sui diritti tv, l’annullamento delle serate Ballroom), ma poco cambia: viaggiamo comunque nell’ordine dei trenta milioni di euro, con un utile milionario che finisce nelle casse della Federazione. E infatti il numero uno Binaghi già si frega le mani: “Queste cifre dimostrano la crescita strutturale della manifestazione”, ha detto nella tradizionale conferenza stampa di chiusura.

I NUMERI DELL’EDIZIONE 2017 – Non si può negare che proprio lui, insieme ai suoi più fidati collaboratori (il direttore operativo Diego Nepi Molineris, il direttore tecnico Sergio Palmieri) sia l’artefice di questo capolavoro di “eventistica sportiva”, che quest’anno è riuscito a entrare persino dentro al Colosseo. Angelo Binaghi è il modello del presidente-imprenditore. Non a caso la sua è una delle Federazioni sportive italiane più autonome in assoluto, con i contributi statali del Coni (circa 6 milioni di euro) che incidono appena per il 12% su un bilancio da 47 milioni di euro, seconda in questa speciale classifica alle spalle solo della Federazione Rugby (mentre ci sono discipline che dipendono dai fondi pubblici anche per il 98%). E questo soprattutto grazie agli Internazionali, che Binaghi ha trasformato in un decennio da torneo decaduto in grande rassegna internazionale, nonché in una impressionante macchina da soldi.

IL NAUFRAGIO DEGLI AZZURRI – L’altra faccia della medaglia dorata degli Internazionali, però, è il bilancio magrissimo dei risultati sul campo. Il torneo è stato un autentico naufragio per gli azzurri: prima della vittoria storica di Fabio Fognini su Andy Murray le statistiche avevano dovuto registrare il record negativo di 16 sconfitte su 18 partite giocate dagli italiani, tra qualificazioni e tabellone principale. E anche dopo quella notte magica l’unico alfiere azzurro si è poi fatto eliminare malamente dal futuro vincitore del trofeo. I ricambi praticamente non esistono: Lorenzo Sonego, che l’anno scorso aveva fatto bene, non si è neanche qualificato; Gianluca Mager ha giocato un bel match contro Bedene, ma si è arreso ai crampi dopo appena due ore di gioco; Matteo Berrettini ha lanciato segnali incoraggianti, ma parliamo pur sempre del numero 250 al mondo, alla stessa età (anzi, un anno più grande) in cui Zverev ha vinto il suo primo Masters 1000. Insomma, una piccola speranza più che una grande promessa.

BINAGHI RADDOPPIA. MA I GIOVANI? – Di tutto questo la Federazione sembra interessarsi meno, impegnata com’è a contare i soldi degli incassi. Binaghi ha grandi piani per il futuro: punta a costruire il tetto sul campo centrale, estendere il parco del Foro Italico, allungare la durata del torneo così da trasformarlo a tutti gli effetti nel “quinto Slam” del circuito, etichetta a cui Roma ambisce da sempre. Punta anche a raddoppiare, con la nuova rassegna “Next Gen” (un torneo riservato ai migliori giovani al mondo) in calendario in autunno a Milano. Perché no, magari pure a triplicare candidando Torino ad ospitare le Final Four 2018 dell’eventuale nuova formula di Coppa Davis. Un “business plan” perfetto, senza però una programmazione sportiva che vada di pari passo. Se la Federazione mettesse nella pratica di base e nella formazione dei maestri un decimo dell’attenzione che dedica agli affari, forse non saremmo costretti ad aggrapparci alle lune di Fognini per vincere una partita in uno Slam, o passare un turno in Coppa Davis. Per non parlare di quando inizierà anche la sua parabola discendente (ormai è alle porte dei 30 anni), e in assenza di ricambi la nazionale scivolerà in un nuovo Medioevo simile a quello di inizio Anni Duemila. Il rischio concreto è quello di avere un grandissimo torneo, magari anche due se la Next Gen sarà il successo che Binaghi si augura, e nessun grande tennista italiano da farci giocare. Come un tempio senza dio, e solo mercanti a pensare ai loro affari.

Twitter: @lVendemiale