Capi di bestiame dispersi, morti e sotto stress. Che non producono più latte, non mangiano abbastanza o sono troppo deboli per affrontare la gestazione. Prima il sisma, poi la neve hanno messo in ginocchio gli allevatori del Centro Italia. “Stavolta è davvero dura", dicono. E parlano di aiuti inadeguati e soluzioni inefficaci calate dall'alto: "Non decidano a Roma, vengano qui e parlino con noi"
“Ci vietano di arrangiarci, che è la cosa che noi sappiamo fare meglio” – Tutti gli allevatori sono concordi su un punto: le loro difficoltà attuali sono senz’altro figlie della sciagura, ma anche del ritardo con cui le istituzioni si sono mosse su questo fronte. “Dopo il terremoto del 24 agosto ci è stato detto di attendere – continua Katia -. Ed è arrivato poco o nulla. Dopo il terremoto del 30 ottobre, stesso copione. Noi a quel punto ci siamo attivati da soli, perché vedevamo avvicinarsi l’inverno. E noi sappiamo bene cosa significa, l’inverno”. Ma non è stato facile. Perché le soluzioni elaborate in autonomie, i metodi che confliggevano in un modo o nell’altro con le procedure standard, molto spesso venivano ostacolate. “Abbiamo sputato sangue su questa terra e la cosa che sappiamo fare meglio è arrangiarci. Ma spesso è come se questa cosa desse fastidio”, spiega Ercole, che prosegue: “Siamo gente di montagna: sappiamo costruirci da soli, in pochi giorni e nei posti in cui davvero ci serve, una stalla o una rimessa per il fieno. Bastano un po’ di assi di legno. Invece dobbiamo rassegnarci all’idea di fare richiesta in carta bollata, attendere i tempi lunghissimi di una burocrazia assurda e poi magari vederci consegnare strutture che neppure rispondono alle nostre esigenze”.