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  1. Terremoto, la sofferenza degli allevatori e dei loro animali. ‘Gelo, stalle crollate e troppa burocrazia. Aiuti o andiamo via’
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Società

Terremoto, la sofferenza degli allevatori e dei loro animali. ‘Gelo, stalle crollate e troppa burocrazia. Aiuti o andiamo via’ - 4/6

Capi di bestiame dispersi, morti e sotto stress. Che non producono più latte, non mangiano abbastanza o sono troppo deboli per affrontare la gestazione. Prima il sisma, poi la neve hanno messo in ginocchio gli allevatori del Centro Italia. “Stavolta è davvero dura", dicono. E parlano di aiuti inadeguati e soluzioni inefficaci calate dall'alto: "Non decidano a Roma, vengano qui e parlino con noi"

Le altre, invece, quelle che erano allo stato brado, sono rimaste bloccate dalla tormenta delle scorse settimane, e insieme a loro le vacche. Immobilizzate (o quasi) dalla neve, impossibilitate a muoversi. Ed è così che diventano facili prede per i lupi, di cui le montagne del luogo sono piene. È questa l’altra immagine della disperazione che offre Ercole: allevatori che ogni mattina si mettono le ciaspole ai piedi e partono alla ricerca dei loro animali dispersi, in mezzo ai boschi di Campotosto. Ma non è un atto inutile, sempre più disperato col passare dei giorni? “Disperato? Chi non è cresciuto in questi posti non può capire cosa significa perdere una bestia”. È la stessa osservazione che fa Katia, prima di precisare come la sofferenza degli animali si ripercuota anche sugli uomini: “Quando una vacca è agitata, noi diciamo che ‘il latte torna indietro’: insomma, non è produttiva. La nostra stalla, che prima ci garantiva 20 quintali di latte a settimana, ora ce ne dà meno di 6”. Ma il discorso vale anche per altri animali: “Se sono stressati i maiali mangiano meno e non ingrassano. Le capre si ammalano più facilmente. Insomma, se le bestie non stanno tranquille, per noi è un guaio”.

“Ci vietano di arrangiarci, che è la cosa che noi sappiamo fare meglio” – Tutti gli allevatori sono concordi su un punto: le loro difficoltà attuali sono senz’altro figlie della sciagura, ma anche del ritardo con cui le istituzioni si sono mosse su questo fronte. “Dopo il terremoto del 24 agosto ci è stato detto di attendere – continua Katia -. Ed è arrivato poco o nulla. Dopo il terremoto del 30 ottobre, stesso copione. Noi a quel punto ci siamo attivati da soli, perché vedevamo avvicinarsi l’inverno. E noi sappiamo bene cosa significa, l’inverno”. Ma non è stato facile. Perché le soluzioni elaborate in autonomie, i metodi che confliggevano in un modo o nell’altro con le procedure standard, molto spesso venivano ostacolate. “Abbiamo sputato sangue su questa terra e la cosa che sappiamo fare meglio è arrangiarci. Ma spesso è come se questa cosa desse fastidio”, spiega Ercole, che prosegue: “Siamo gente di montagna: sappiamo costruirci da soli, in pochi giorni e nei posti in cui davvero ci serve, una stalla o una rimessa per il fieno. Bastano un po’ di assi di legno. Invece dobbiamo rassegnarci all’idea di fare richiesta in carta bollata, attendere i tempi lunghissimi di una burocrazia assurda e poi magari vederci consegnare strutture che neppure rispondono alle nostre esigenze”.