La polemica su cosa non è stato Woody Allen nel post 1992 è già stata fatta in altro spazio. Qui giova ricordare che fino a quel dì è stato un fenomeno perché sapeva mescolare con grazia sorriso e dramma, doti sopraffine di metteur en scene e perfino recitazione di gran classe. Hannah e le sue sorelle (1986) rappresenta l’apice, sembra ridicolo dirlo oggi, di una “ricerca” stilistica dove Allen fonde mirabilmente l’ispirazione cechoviana del plot, la sfumatura psicologica bergmaniana, con una prova corale di facce, caratteri, e movimenti di macchina che rimane impressa nella storia del cinema. Non c’è un vero e proprio personaggio centrale in Hannah, il tourbillon tra le tre sorelle borghesi newyorchesi, la più matura (Hannah), la più giovane (Lee), la più stramba (Holly), ed a fianco il terzetto con Michael Caine marito di Hannah innamorato di Lee, l’ipocondriaco Woody Allen l’ex di Hannah che esce con Holly, l’iracondo Max Von Sydow un maturo artista che sta con Lee. Un film dal profumo e dalle cadenze tardo autunnali, valzer ritmato dai versi di E.E. Cummings, dalla fotografia di Carlo Di Palma e da battute memorabili come quella finale: “Il cuore è un muscoletto molto elastico”. Il secondo più grande successo al box office per Allen (40 milioni di dollari), poco sopra i 39 milioni di Manhattan e dietro l’orrendo Midnight in Paris (53 milioni).
