Ecco chi era davvero l'ultima "primula rossa" di Cosa nostra, il boss arrestato a Palermo dopo trent'anni di latitanza. I primi passi nella famiglia mafiosa di Castelvetrano (Trapani), l'incontro alla Fontana di Trevi con Giuseppe Graviano per pianificare gli attentati del '92-93, il rapporto con il senatore Antonio D'Alì di Forza Italia, le tante volte in cui è scampato alla cattura. Le ricchezze attribuite a lui finora sequestrate ammontano a circa 7 miliardi di euro
Forse una traccia sta nei soprannomi. Nessuno lo chiama più ‘u siccu e pure Diabolik è ormai bandito. Da quando Matteo è scomparso hanno cominciato a definirlo in un modo diverso: “Quello dell’olio”, “la testa dell’acqua”, “iddu”, cioè semplicemente “lui”, quello che non deve neanche essere nominato. Nei pizzini trovati nel covo di Provenzano, invece, si firmava “suo nipote Alessio”. Lo stesso nome usato in una fitta corrispondenza con tale Svetonio. Lettere in cui Alessio cita Jorge Amado, parla di Bettino Craxi e di Toni Negri, sostiene di essere “diventato il Malaussène di tutti e di tutto”, come il personaggio inventato da Daniel Pennac, che di professione fa il capro espiatorio. Chi è Svetonio? Tonino Vaccarino, ex sindaco di Castelvetrano, già condannato per traffico di stupefacenti: sosteneva di lavorare “per lo Stato”, cioè per i servizi. A scrivere firmandosi Alessio, dunque, era Matteo? Probabile. Dopo che la corrispondenza viene resa pubblica a Vaccarino arriva un’altra lettera: “Lei ha buttato la sua famiglia in un inferno. La sua illustre persona fa già parte del mio testamento. In mia mancanza, verrà qualcuno a riscuotere il credito che ho nei suoi confronti”. A scrivere non è più Alessio ma uno che si firma così: “M. Messina Denaro”. Quella è una condanna a morte, ma chi la riceve non sembra avere paura. Vaccarino ha continuato a vivere tranquillamente a Castelvetrano: a ucciderlo non è stato la mafia, ma il Covid.