Calcio

Arabia Saudita, quel filo che lega Cristiano Ronaldo, Renzi e i Mondiali di calcio del 2030

L'ambasciatore CR7 viene pagato fino al 2030, la Vision del principe bin Salman è datata 2030 e la prossima assegnazione della Fifa riguarderà l'edizione 2030. La conclusione logica è una sola: Riad sta tentando di ripetere l'operazione Qatar

Il “neo-rinascimento” dell’Arabia Saudita evidentemente passa anche dal pallone. Quando Matteo Renzi nel gennaio 2021 pronunciava quelle parole davanti a Mohammed bin Salman, ancora era difficile trovare un legame tra quella “Vision 2030” sbandierata qualche anno prima proprio dal principe saudita e il mondo del calcio. Lo sportwashing e il pallone come leva di soft power sembravano prerogative del Qatar, fiero del suo Psg che si accaparrava stelle e dei Mondiali 2022 che erano alle porte. In meno di due anni invece il calcio è diventato improvvisamente motivo di grande interesse anche a Riad: un processo cominciato a ottobre 2021 con l’acquisto del Newcastle e culminato con l’arrivo di Cristiano Ronaldo all’Al Nassr, che arrivando a guadagnare un miliardo di euro in 7 anni diventerà anche ambasciatore del calcio saudita. Basta unire i puntini: la Vision 2030 si sovrappone perfettamente ai Mondiali di calcio 2030, che devono essere ancora assegnati dalla Fifa. Chi c’è in lizza tra i Paesi ospitanti? L’Arabia Saudita.

Ecco perché l’acquisto di Ronaldo da parte del club di Riad diventa molto più di un buen ritiro per un calciatore che ha fatto la storia del calcio e che ora andrà a guadagnare vagonate di milioni (circa 3,8 ogni settimana!). No, è una spia di quello che potrebbe succedere, una sorta di déjà vu se si guarda alla parabola del Qatar. La “Vision 2030” fu lanciata nel 2017 dal principe bin Salman: un potente piano di sviluppo, secondo la narrativa ufficiale, per diversificare l’economia e creare maggiori opportunità per i giovani e le donne. Appunto “un nuovo rinascimento”, teorizzato anni fa dalla faccia giovane e apparentemente innovativa del regime, che cercava di togliere di dosso quella patina di oscurantismo che per decenni ha avvolto l’immagine della monarchia legata all’integralismo wahhabita. Un’operazione molto simile a quelle qatariota, che aveva conquistato l’occidente col suo volto rassicurante e progressista, oltre che con le mazzette, come dimostra anche il Qatargate scoppiato al Parlamento europeo.

Una narrativa abbracciata dallo stesso Renzi, membro dell’advisory board del Future Investment Initiative Institute, una Fondazione saudita creata all’inizio del 2020 per decreto dal Re Salman bin Abd al-Aziz Al Saud. Durante quel suo famoso intervento del gennaio 2021, nel pieno della crisi politica italiana da lui stesso scatenata, Renzi diceva anche di invidiare a Riad “il vostro costo del lavoro”. Eppure, le condizioni dei lavoratori in Arabia Saudita non sono molte diverse da quelle che durante e prima degli ultimi Mondiali sono state denunciate in Qatar, con migliaia di operai morti durante la costruzione degli stadi. In più, l’altra faccia del rinnovamento promosso dalla “Vision 2030” è stata svelata al mondo dall’omicidio di Jamal Khashoggi, il giornalista saudita ucciso e fatto a pezzi nel consolato dell’Arabia Saudita a Istanbul ormai nel lontano 2018. Il meccanismo della repressione d’altronde non si è mai fermato: a marzo scorso in un solo giorno sono state eseguite 81 condanne a morte. Ma il regime di Riad sa benissimo che può usare il petrolio come arma di ricatto per l’Occidente. Infatti, proprio mentre cominciavano i Mondiali in Qatar, il presidente Usa Joe Biden ha concesso al principe bin Salman l’immunità nell’ambito del procedimento sull’omicidio di Khashoggi.

L’oro nero può bastare per far valere la ragione di Stato, ma per il consenso ormai gli Stati arabi puntano al calcio. Così la triade del petrolio Qatar-Emirati Arabi Uniti-Arabia Saudita si è ricomposta anche nell’élite del calcio europeo e mondiale a ottobre 2021, quando un consorzio guidato dal PIF, Fondo per gli Investimenti Pubblici appartenente al principe saudita Mohammed Bin Salman, ha acquistato il Newcastle United. Come gli Emirati hanno il Manchester City, come il Qatar possiede il Psg dal 2011, ovvero l’anno successivo all’assegnazione del suo Mondiale. Ecco la seconda analogia con Doha: una squadra di calcio come leva per arrivare ai vertici del pallone, come strumento di soft power. Il Newcastle ci metterà molto più tempo del Psg per arrivare ai vertici, perché oggi è più difficile spendere immediatamente cifre folli per assicurarsi figurine. Ma intanto l’amo è stato lanciato.

Eppure l’operazione conclusa da PIF, che tanto aveva destato clamore inizialmente, era finita col passare dei mesi nel dimenticatoio. Nonostante l’Arabia Saudita sia già protagonista di un’altra grande operazione di sportwashing, che come livello di follia supera di gran lunga il Mondiale d’inverno e gli stadi con l’aria condizionata: nel 2029 ospiterà i Giochi invernali asiatici. Proprio così. Gare di sci, snowboard, hockey su ghiaccio e pattinaggio artistico tutte in mezzo al deserto. Nello specifico, a Neom, megalopoli futuristica che l’Arabia Saudita si ripromette di edificare in tempi record con un investimento da 500 miliardi di dollari. Creando di fatto dal nulla un resort per gli sport invernali.

Tutto si tiene con la notizia dello sbarco di Cristiano Ronaldo nel campionato arabo, che va sommata all’acquisto del Newcastle. I dettagli del contratto firmato dall’attaccante portoghese testimoniano come dietro l’acquisto da parte dell’Al Nassr ci sia molto di più della volontà di avere una star da poter sfoggiare in patria, tipo animale da circo. I due anni e mezzo da calciatore verranno pagati a CR7 tanto quanto i 5 anni successivi da ambasciatore. Un miliardo di euro complessivo per avere dalla propria parte il calciatore più seguito al mondo. Ronaldo viene pagato fino al 2030, la Vision di bin Salman è datata 2030 e la prossima assegnazione della Fifa riguarderà i Mondiali del 2030. La conclusione logica è una sola: l’Arabia Saudita sta tentando di ripetere l’operazione Qatar.

I Mondiali finirono a Doha con quella maledetta assegnazione del 2010, frutto dell’avidità della Fifa, della complicità delle istituzioni e di buona parte del mondo (sportivo e non) che preferì chiudere un occhio. Ma Qatar 2022 evidentemente non ha insegnato nulla, se in lizza per la Coppa del Mondo 2030 c’è l’Arabia Saudita. Riad ha già iniziato a raccogliere proseliti, sviluppando tecnologie mirabolanti e preparando piani di investimento faraonici, seguendo l’esempio di successo dei vicini di casa. Ma sul piano dei diritti umani è un Paese forse ancora più arretrato, una sfida impossibile da vincere anche per la faccia tosta di Gianni Infantino. Eppure l’Arabia Saudita ha dalla sua una vagonata di miliardi, l’argomento da sempre più convincente per la Fifa. E altri due anni di tempo, tra un gol di CR7 e una conferenza, per completare l’opera di restyling. Nel 2024, il congresso si riunirà per assegnare l’edizione 2030.