Lobby

Impianti idroelettrici e spiagge da mettere a gara: i dossier caldi del Recovery su cui Lega e Fratelli d’Italia si sono già spaccati

In base al Pnrr va approvato entro fine anno l'ok definitivo alla mappatura delle concessioni balneari, che Draghi ha approvato solo in via preliminare dopo la giravolta della Lega che in estate aveva votato a favore del ddl concorrenza. Poi c'è il nodo dell'idroelettrico: il Carroccio in questo caso è favore delle gare perché i proventi vanno alle regioni del Nord, FdI invoca la difesa della sicurezza energetica

La proroga fino a fine dicembre dei sostegni contro i rincari energetici e la legge di Bilancio per un anno che vedrà una decisa frenata del pil sono solo le prime grane sul tavolo della premier Giorgia Meloni. Ancora più delicati per la maggioranza di centrodestra si preannunciano infatti alcuni provvedimenti in materia di concorrenza, imposti dal cronoprogramma del Recovery plan. A partire dall’ok definitivo alla mappatura delle concessioni balneariin vista dello stop alle proroghe incondizionate – che l’esecutivo Draghi ha approvato a metà settembre solo in via preliminare e attende ora il parere delle nuove Camere. Meloni, poi, dovrà anche decidere se proseguire sulla strada già segnata della messa a gara dei grandi impianti idroelettrici, partita in cui la Lega è schierata fermamente a favore delle procedure di assegnazione mentre Fratelli d’Italia – curiosamente allineata al Pd – le vede come fumo negli occhi.

La legge sulla concorrenza, va detto, è una missione quasi impossibile per i governi di ogni colore. Dal 2009 dovrebbe esserne adottata una ogni anno, ma finora se n’era vista una sola: quella approvata nel 2017 dopo 894 giorni di tira e molla parlamentare su taxi, assicurazioni, mercato libero dell’energia, notai, vendita dei farmaci nei supermercati. Nel frattempo molte delle novità che sulla carta avrebbero dovuto favorire i consumatori sono saltate. Anche per Draghi il varo del provvedimento è stato un incubo: era atteso nell’estate 2021, solo a novembre il premier è riuscito a farlo passare in consiglio dei ministri al prezzo di rinunciare alla liberalizzazione delle spiagge, salvo dover rivedere la decisione nel febbraio 2022 dopo che il Consiglio di Stato ha bocciato la proroga delle concessioni fino al 2034. Lo scorso agosto (dopo l’ennesimo stralcio della norma sulla liberalizzazione delle licenze dei taxi) è arrivato il via libera parlamentare ma il difficile arriva adesso: entro fine anno vanno approvati tutti i decreti attuativi. La lista, come ricorda la seconda Relazione sul Pnrr, comprende “mappatura e trasparenza dei regimi concessori di beni pubblici” e “riordino della disciplina dei servizi pubblici locali di rilevanza economica”, oltre all’eliminazione graduale dei contratti energetici di maggior tutela per le microimprese e le famiglie che Arera chiede di rinviare e all’abolizione della riscossione del canone in bolletta.

Insieme al decreto sui servizi pubblici locali, che va solo approvato in via definitiva e già prevede la possibilità di mantenere la gestione in house a patto di dare “espressamente conto delle ragioni del mancato ricorso al mercato“, l’ultimo punto è l’unico su cui il centrodestra non dovrebbe aver difficoltà a trovare un accordo (anche se sarà un bel problema per i conti della Rai). Sulle spiagge è noto che tutti i partiti della nuova maggioranza paventano la colonizzazione dei nostri litorali da parte di “colossi stranieri” e hanno sempre sostenuto l’inapplicabilità della direttiva Bolkestein alle concessioni balneari. Ma in luglio, dopo la caduta di Draghi, si sono spaccati, con forzisti e Lega che hanno votato a favore del ddl concorrenza per “responsabilità”, trattandosi appunto di uno degli obiettivi del Pnrr, mentre FdI restava ferma nella sua opposizione. Con tanto di promessa, da parte di Fabio Rampelli, di “far scadere la delega del decreto legislativo, per i balneari e per tanti altri settori toccati e stravolti dal ddl Concorrenza”.

In settembre il Carroccio ha nuovamente cambiato idea: in cdm ha votato contro il decreto legislativo con le regole per la mappatura delle concessioni pubbliche propedeutica alle gare, che per le spiagge andranno concluse entro il dicembre 2023 salvo i casi in cui c’è un contenzioso o “difficoltà oggettive” e i cui vincitori dovranno versare canoni che finalmente “tengano conto del pregio naturale e dell’effettiva redditività delle aree”. “Riteniamo che sia più corretto affidare l’esame di simili provvedimenti al nuovo governo”, aveva spiegato il ministro del Turismo uscente Massimo Garavaglia, di cui ha preso il posto Daniela Santanchè. Ora che si arriva al dunque, a gestire la partita potrebbe dunque essere la co-proprietaria del Twiga, che di fronte alla contestazione del palese conflitto di interessi ha scrollato le spalle escludendo la vendita delle proprie quote e dicendosi pronta a rinunciare alla delega sui balneari. Un sacrificio non da poco per la titolare del Turismo in un Paese con 8000 chilometri di coste.

La situazione è speculare se si guarda alle concessioni idroelettriche. Nel ddl delega, dopo lunghe trattative, la Lega ha ottenuto che le gare siano in capo alle Regioni, a cui il governo gialloverde ha del resto disposto il trasferimento della proprietà alla scadenza delle concessioni o in caso di rinuncia. Bisognerà procedere entro il 31 dicembre 2023, termine prorogato di un anno per le Regioni a statuto speciale. E’ l’“autonomia idroelettrica“, gongolano gli amministratori leghisti, che già prevedono ricchi incassi dagli impianti concentrati in Piemonte, Trentino, Lombardia e Veneto. Caso strano, in questo caso a schierarsi contro la messa a gara sono stati il Pd (favorevole a una proroga ventennale delle concessioni) e Fratelli d’Italia. Simili le motivazioni, che chiamano in causa il tema in questa fase caldissimo della sicurezza energetica e la necessità di salvaguardare la produzione nazionale da “appetiti stranieri”.

Di qui i forti dubbi sulla norma, solo in parte superati dopo che Draghi ha esplicitamente assoggettato anche le derivazioni idroelettriche alla disciplina del golden power (valida anche se l’acquirente è un’azienda europea) che si applica a tutte le attività strategiche. FdI resta convinta che i criteri di assegnazione delle concessioni debba deciderli lo Stato, senza lasciare troppo spazio ai regionalismi. Si preannuncia un nuovo braccio di ferro.