Economia

Legge di Bilancio, Meloni evita lo scontro con l’Ue: chiederà meno deficit aggiuntivo rispetto a quello che si prese Draghi

Archiviati gli attacchi pre elettorali tipo "la pacchia è finita": nella Nota di aggiornamento al Def programmatica il deficit/pil verrà fatto salire solo di 0,5-1,1 punti rispetto a quello lasciato in eredità dai predecessori. In questo modo si recupereranno tra i 9,5 e i 20,8 miliardi, a fronte degli almeno 40 necessari per la manovra. Che destinerà tre quarti delle risorse al pacchetto energia

Dal comizio milanese durante il quale avvertì l’Europa che “la pacchia era finita” è passato poco più di un mese, ma tutto è cambiato. Nelle dichiarazioni programmatiche alla Camera la neo premier Giorgia Meloni ha anticipato di avere tutta l’intenzione di “rispettare le regole europee attualmente in vigore”. Ora la retromarcia si completa con le anticipazioni sui contenuti della Nota di aggiornamento al Def programmatica, la “cornice” della legge di Bilancio 2023 che il nuovo governo deve ora presentare a Bruxelles entro un mese. Il neo ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti e il responsabile economico di Fdi Maurizio Leo, riferisce Bloomberg, si preparano a far salire il rapporto deficit/pil solo di 0,5-1,1 punti rispetto a quello lasciato in eredità dai predecessori, a un valore compreso tra il 3,9 e il 4,5%. In questo modo recupereranno uno spazio di manovra tra i 9,5 e i 20,8 miliardi, a seconda di quale sarà la scelta finale, ma restando su un percorso discendente. In linea con i parametri europei sul progressivo calo del debito. Altro che scontro, insomma. Basti dire che il governo Draghi per il 2022 si era preso 1,2 punti di deficit in più rispetto al tendenziale, pur riducendolo notevolmente rispetto all’anno prima.

Il punto di partenza è che, come ammesso dalla neo premier durante il discorso programmatico, la coperta è cortissima. Il Paese sta entrando in recessione e la priorità va data alla proroga delle misure contro il caro energia, che costano care: solo per i crediti di imposta (del 30 o 40% a seconda della tipologia di impresa) sulla spesa energetica ci vogliono 4,7 miliardi al mese e Draghi li ha prorogati solo fino a fine novembre, per cui occorrerà intervenire per decreto ancora prima della manovra. Per l’azzeramento degli oneri generali di sistema e la riduzione dell’Iva sul gas il conto in estate era di circa un miliardo al mese, che ora potrebbe scegliere visto che i prezzi stanno calando. Non a caso il governo ha già fatto trapelare che il “pacchetto energia” assorbirà i tre quarti delle risorse della manovra.

E il resto? Il mini taglio dei contributi previdenziali del 2%, in vigore da luglio, richiede 3,5 miliardi l’anno e Meloni non può certo cancellarlo visto che ridurre il cuneo fiscale è tra le priorità che ha elencato alla Camera. Per le pensioni, dal 2023 scatta l’adeguamento pieno all’inflazione che nel frattempo come si sa è arrivata ai massimi da 40 anni. Facendo le somme, anche rifinanziando solo per tre mesi le misure per tamponare i rincari energetici e non rinnovando il bonus di 150 euro occorrono oltre 33 miliardi. Aggiungendo anche i rinnovi dei contratti degli statali e una proroga di quota 102 e Opzione donna per evitare un brusco ritorno alla Fornero si arriva a 40, senza contare le solite spese indifferibili.

Un aiuto arriva dal fatto che il governo precedente ha lasciato in eredità sia per il 2022 sia per il 2023 un deficit inferiore a quello previsto dal Def (rispettivamente 5,6 e 3,4%), facendo sì che sulla carta si “liberino10 miliardi quest’anno e 10 il prossimo con cui finanziare nuovi interventi. Ipotizzando una ventina di miliardi di ulteriore deficit e mettendo sul piatto anche i proventi attesi dalla riscrittura della tassazione sugli extraprofitti, finora un mezzo flop, e i circa 4 miliardi di fondi strutturali 2014-2020 che la Commissione consentirà di usare contro il caro bollette ci si avvicina alla quadra. Gran parte delle bandierine dei partiti di maggioranza però dovrà attendere.

Ci sarà spazio, come emerso negli ultimi giorni, solo per quelle a costo zero o quasi: un mini ampliamento della flat tax per gli autonomi (serve circa 1 miliardo), la tassa piatta incrementale sui redditi aggiuntivi rispetto a quelli degli ultimi tre anni e vari ammiccamenti agli evasori. Ma se gli attacchi alle Entrate e l’aumento del tetto al contante almeno nel breve periodo sono gratis, il nuovo condono annunciato da Meloni nella forma descritta nel programma di Fdi comporterebbe una secca perdita per il fisco. Con relativa necessità di ulteriori coperture.