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Vaccini, il piano italiano vira sul “modello inglese”? Nel primo trimestre non può avere efficacia per mancanza di dosi. Ecco le previsioni sugli approvvigionamenti

Secondo molti retroscena la strategia del premier Draghi è di puntare su una prima dose a più persone possibile, inoculando AstraZeneca e facendo passare tre mesi per il richiamo (aumentando l'efficacia, come ha confermato The Lancet). Ma questa distanza tra le due iniezioni è già in vigore: in base alle raccomandazioni di Aifa, i 5,3 milioni di dosi del primo trimestre saranno tutti utilizzati come prima iniezione, perché i richiami cominceranno solo da maggio. Il problema delle prossime settimane è il numero di fiale a disposizione

Somministrare la seconda dose del vaccino di AstraZeneca a tre mesi di distanza dalla prima, in modo da non dover conservare fin da subito una scorta e poter effettuare una iniezione a un numero maggiore di persone. Sarebbe questa, secondo alcuni quotidiani, la nuova strategia per il piano vaccinale sul tavolo del presidente del Consiglio Mario Draghi, ispirato al “modello inglese” che prevede di inoculare una prima dose a più persone possibile senza curarsi di conservare la seconda per i richiami. Al momento, però, non sembra esserci nulla di nuovo: aspettare dodici settimane prima di procedere a somministrare il richiamo di AstraZeneca, infatti, era una prassi già prima dell’insediamento del neo-premier, semplicemente perché l’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) lo ha raccomandato il 10 febbraio scorso. Nessuna rivoluzione, quindi. Per copiare il cosiddetto “modello inglese“, il governo dovrebbe invece decidere di contravvenire alle indicazioni arrivate dall’Agenzia europea (Ema) e (Aifa), posticipando i richiami di tutti i vaccini a data da destinarsi. Nel Regno Unito, infatti, 17 milioni e 700mila persone hanno ricevuto la prima dose, solo 625mila anche la seconda. I numeri fanno capire però che la vera efficacia del “modello inglese” non sta nei richiami, ma nel numero di dosi a disposizione. Il confronto? L’Italia ha ricevuto ad oggi 4 milioni e 700mila dosi, poco più di un quarto di quelle somministrate in Uk, che ha cominciato con un mese di anticipo.

La velocità nelle vaccinazioni è un aspetto cruciale nella lotta alla pandemia, sia in relazione alle riaperture sia nel contrasto alle nuove varianti. Per questo il presidente Draghi ne ha parlato in un vertice a Palazzo Chigi insieme a cinque rappresentanti dei rispettivi partiti che compongono la maggioranza: Giancarlo Giorgetti (Lega), Stefano Patuanelli (M5s), Mariastella Gelmini (Forza Italia), Dario Franceschini (Pd) e il ministro della Salute Roberto Speranza (Leu). Per accelerare e immunizzare più persone possibili, però, Draghi al momento non può fare molto: finché il ritmo delle consegne settimanali non aumenterà, sarà impossibile portare al massimo dei giri anche la macchina delle vaccinazioni. I richiami non c’entrano nulla. La seconda dose di Pfizer e di Moderna serve a garantire una protezione maggiore alle categorie più fragili, in primis gli over 80. La seconda dose di AstraZeneca verrà somministrata solo tra 3 mesi, quando in teoria i problemi di approvvigionamento saranno in gran parte superati. È nell’immediato che invece continuano a non arrivare buone notizie, visto che proprio AstraZeneca ha annunciato che questa settimana ridurrà del 15% le consegne del farmaco anti-Covid in Italia.

I numeri del piano vaccinale italiano, aggiornati dal ministero della Salute al 12 febbraio scorso, dicono che il nostro Paese si aspetta di ricevere almeno 7,3 milioni di dosi da Pfizer entro fine marzo. Moderna ne ha garantite 1,3 milioni, mentre l’aspettativa per AstraZeneca è che ne arrivi a consegnare 5,3 milioni. (la scorsa settimana c’è stato un calo del 15% nelle consegne). Già oggi, in base alle raccomandazioni di Aifa, queste 5,3 milioni di dosi saranno tutte utilizzate come prima iniezione, perché i richiami cominceranno solo da maggio. Nel secondo trimestre lo scenario dovrebbe cambiare radicalmente, in positivo: l’Italia si aspetta di ricevere più di 20 milioni di dosi solo da Pfizer, altre 4,6 milioni da Moderna, più 7,3 milioni rispettivamente da Johnson&Johnson e da Curevac, se dovesse arrivare il via libera. E Astrazeneca? Secondo il piano, tra aprile e giugno dovrebbe consegnare più di 10 milioni di dosi. Abbastanza per effettuare i richiami dei vaccinati nel primo trimestre e garantire la prima dose ad altre 5 milioni di persone.

Secondo La Stampa, il governo potrebbe anche decidere di andare oltre la scadenza dei tre mesi. In questo modo, si legge, si potrebbe iniettare la prima dose di AstraZeneca a 27 milioni di persone entro fine luglio. Lo ha proposto anche Guido Rasi, docente di Microbiologia all’università di Roma Tor Vergata ed ex direttore esecutivo dell’Ema: “Per quanto riguarda il vaccino di AstraZeneca – ha spiegato – fin dall’inizio era chiaro dai dati, e così aveva suggerito già l’Ema, che la seconda dose poteva essere fatta 3 mesi dopo la prima. Adesso nuove informazioni sembrano dire che il richiamo può essere forse somministrato anche oltre i 3 mesi“.

A motivare questa scelta sarebbe uno studio scientifico pubblicato su Lancet: il quale però spiega che il farmaco ha un’efficacia dell’81,3% quando la seconda dose viene somministrata a 3 mesi dalla prima, contro un’efficacia del 55% se il richiamo viene fatto entro le 6 settimane. Quindi conferma la bontà della strategia che l’Italia ha adottato fin da subito. L’autore principale del lavoro, Andrew Pollard, dell’università inglese di Oxford, ha spiegato infatti che “in caso di offerta limitata, l’approccio che prevede di vaccinare inizialmente più persone con una singola dose può fornire una maggiore protezione immediata della popolazione”, ma “a lungo termine una seconda dose dovrebbe garantire un’immunità di lunga durata, pertanto incoraggiamo tutti coloro che hanno ricevuto la prima dose a fare anche la seconda”. I ricercatori hanno puntualizzato inoltre che “non è ancora chiaro per quanto tempo possa durare la protezione di una singola dose di vaccino, perché i risultati dello studio sono limitati a un massimo di 3 mesi. Per questo motivo si consiglia comunque la seconda dose”.

Proprio in questo senso vanno lette le dichiarazioni di Gianni Rezza, direttore generale Prevenzione del ministero della Salute. “Serve introdurre degli elementi di flessibilità all’interno dei piani vaccinali. Questo vuol dire non farsi costringere nella rigidità eccessiva, in maniera da favorire sia l’offerta che la domanda di vaccino che in questo momento è forte da parte della popolazione. E in questo senso vanno le aperture che verranno presto fatte in termini di raccomandazioni da parte del ministero della Salute”, ha detto il dg del ministero, intervenendo al webinar Covid-19: Il terzo vaccino e le strategie nazionali e regionalo, promosso dall’Accademia lombarda di sanità pubblica.
“Posso anticipare l’emanazione di una circolare, quasi pronta, e il ministro, dopo attenta valutazione, darà il suo ok”, ha aggiunto. Spiegando che per migliorare la capacità di vaccinazione è di particolare importanza “l’accordo concluso ieri con i medici di medicina generale per i quali la possibilità di utilizzare un vaccino maneggevole è essenziale”. Questo accordo “ci dà la possibilità di allargare molto, sostanzialmente, la platea degli attori che staranno in prima fila nella campagna vaccinale