Zonaeuro

Coronavirus, l’Eurozona rischia la disgregazione. Eppure un modo per aggirare l’ostacolo c’è

Non facciamoci troppe illusioni: è possibile, anche se ancora improbabile, che l’eurozona si disgreghi con la crisi del coronavirus e che l’euro possa perfino cadere. Anche perché i mercati finanziari sono nel panico a livello globale e gli spread dei paesi più deboli dell’eurozona schizzano già verso l’alto mentre i capitali fuggono precipitosamente verso il “porto sicuro” dei titoli di stato tedeschi.

La crisi finanziaria avanza rapidamente e non è escluso che il panico prenda il sopravvento e travolga tutto. I mercati stanno tracollando ma non hanno pietà: se scoppia una grave crisi sanitaria come quella del Covid-19, che annuncia una recessione a picco, allora gli operatori finanziari reclamano subito interessi più alti per compensare il rischio che la crisi porti al fallimento, parziale o totale, degli stati debitori. Non a caso lo spread – il differenziale tra gli interessi che lo stato italiano deve pagare sui Btp rispetto agli analoghi ma più sicuri titoli tedeschi – continua a salire.

Il governo italiano ha già annunciato maggiori spese per 25 miliardi, ma nel prossimo futuro diventerà indispensabile spendere molto di più e superare di gran lunga il limite del 3% del deficit sul Pil (stupidamente fissato a Maastricht). Lo stato italiano – come tutti gli altri stati dell’eurozona e dell’Europa e del mondo – si affanna a cercare il denaro per coprire i costi sanitari che esplodono, per garantire liquidità alle aziende e non farle fallire, e per dare respiro alle famiglie. Ma il debito pubblico italiano è già molto alto (135% sul Pil) e crescerà, e quindi gli interessi che il governo dovrà pagare aumenteranno e rischieranno di affossare l’economia nazionale. I mercati non perdonano. E l’intervento della Banca centrale europea di Christine Lagarde non è che una povera aspirina.

Non è pertanto adeguata la richiesta invocata ancora sul Sole 24 Ore – peraltro già avanzata circa 10 anni fa – da Romano Prodi e dell’economista Alberto Quadrio Curzio: secondo i due l’Unione Europea dovrebbe emettere eurobond per finanziare i costi della crisi e la ripresa economica. Sulla carta Prodi e Quadrio Curzio hanno ragione, ma la loro richiesta è illusoria.

Il governo della signora Merkel e la Commissione Ue magari concederanno un po’ più di flessibilità ai paesi colpiti dal Covid-19 ma assai difficilmente decideranno di rovesciare la politica di austerità che strangola l’eurozona da più di un decennio. L’intervento della Ue sarà debole e probabilmente fuori tempo massimo. L’Europa non ha istituzioni e politiche adeguate per fronteggiare una crisi grave come questa, e del resto lo shock finanziario tocca non solo l’Italia e la zona euro, ma è globale.

Sarebbe allora più immediato e efficace fare come a Hong Kong, Singapore e Macao: là i governi nazionali hanno “stampato denaro“ e lo hanno assegnato direttamente alle famiglie e alle imprese per compensare i redditi persi e sostenere la ripresa dell’economia nazionale. Il problema è che invece i Paesi dell’eurozona non hanno sovranità monetaria e che solo la Banca Centrale Europea potrebbe stampare denaro a favore dell’economia reale. Ma la Bce non può e non vuole farlo, perché i Trattati di Maastricht vietano alla Bce di sovvenzionare direttamente gli stati. La Bce può solo finanziare le banche, ma i suoi soldi non arrivano né agli stati per gli investimenti pubblici né all’economia reale.

L’unica possibilità è allora quella che gli stati nazionali, e che in primis il governo italiano, facciano loro direttamente dell’”helicopter money”, ovvero “gettino denaro dall’elicottero”, offrano denaro gratis alle famiglie, alle imprese e agli enti pubblici. L’”helicopter money” non è una favola per fessi: per combattere le crisi di liquidità è stato proposto da economisti del calibro di J.M. Keynes (con la famosa metafora del denaro da scavare nelle buche e da impiegare subito nell’economia reale), Milton Friedman e Ben Bernanke.

Gli economisti convenzionali, i media di regime e i politici più tradizionalisti inorridiranno di fronte a questa semplice proposta. E opporranno il fatto che – come si è scritto sopra – solo la Bce può stampare denaro, ma che invece nell’eurozona a guida teutonica questo è proibito. Eppure c’è un modo di aggirare subito l’ostacolo, un modo che propongo da anni, e che aveva già convinto, tra gli altri, Luciano Gallino, il maggiore studioso in Italia dei guasti del finazcapitalismo.

I governi della zona euro, in primis quello italiano, dovrebbero emettere Tassi di Sconto Fiscale come “quasi-moneta” (in gergo si chiamano così i titoli che possono essere convertiti subito in moneta sonante) e dovrebbero assegnarli a famiglie, imprese ed enti pubblici per coprire i costi sanitari, prevenire la recessione in arrivo ed espandere il Pil.

Emettendo i Tsf lo stato italiano non chiederebbe nulla al mercato finanziario e quindi non aumenterebbe lo spread. La Ue non potrebbe obiettare perché i Tsf sono semplici titoli di Stato, non sono moneta parallela e non aumentano il debito pubblico. Infatti alla scadenza, al quarto anno dall’emissione, quando saranno utilizzati per pagare le imposte, grazie al moltiplicatore keynesiano e all’aumento dell’inflazione, la crescita del Pil nei tre anni precedenti sarà tale che il gettito fiscale coprirà il valore di emissione dei Tsf. Quindi nessun aumento del debito pubblico. Anzi i Tsf eliminerebbero la minaccia di ristrutturazione del debito dell’Italia, nonché la possibile rottura dell’euro.