Lobby

Coronavirus, la serrata di Fontana non comprende le fabbriche: “Deciderà Confindustria”. Che non intende chiudere

Nel documento inviato al governo dal presidente della Lombardia si spiega che saranno gli industriali a "regolamentare l'eventuale sospensione o riduzione delle attività lavorative per le imprese". Ma tutte le territoriali di viale dell'Astronomia si stanno esprimendo contro lo stop. Cgil, Cisl e Uil: "Non accettabile l'autodeterminazione delle scelte"

Chiudere tutto sì. Ma non le fabbriche. Sembra essere questa, a leggere tra le righe, l’intenzione del governatore lombardo Attilio Fontana, che ha scritto al governo per proporre “ulteriori misure di contenimento della diffusione del coronavirus”. Nel documento infatti si spiega che la serrata auspicata dalla Lombardia – d’accordo anche il Veneto – dovrebbe riguardare tutti i negozi, i pubblici esercizi, le strutture ricettive e i servizi. Ma per quanto riguarda le attività produttive deciderà Confindustria. La cui posizione è nota: bisogna continuare a produrre e questo non è in contrasto con le esigenze di contenimento dell’epidemia. I sindacati protestano: inaccettabile, dicono, che siano gli industriali a decidere “chi può e chi non può chiudere e lavorare”.

La facoltà di “autodeterminazione” è nero su bianco nella missiva di Fontana al premier Conte. Il documento inviato dalla Regione Lombardia dice infatti che “per quanto riguarda le restanti attività produttive, è già stato raggiunto un accordo con Confindustria Lombardia che provvederà a regolamentare l’eventuale sospensione o riduzione delle attività lavorative per le imprese”. Tradotto: saranno gli imprenditori a valutare come muoversi. E in questa fase solo i piccoli esercenti – che stanno chiudendo comunque per mancanza di clienti – e i costruttori – che attendono le nuove norme “sblocca cantieri” in arrivo dopo l’emergenza – si dicono disponibili a fermarsi. Le territoriali di Confindustria – da Firenze a Venezia passando per Udine e le regionali di Piemonte ed Emilia Romagna – invece continuano a spiegare che le aziende non hanno alcuna intenzione di chiudere e paventano in caso contrarie conseguenze “rovinose”, “devastanti”, “irreparabili“.

Confindustria Lombardia: “Fabbriche sono sicure, rafforzeremo misure” – “Le fabbriche sono oggi probabilmente il posto più sicuro“, è la posizione ufficiale di Confindustria Lombardia il cui presidente Marco Bonometti ieri ha incontrato Fontana. “Hanno adottato da subito misure di prevenzione per la tutela della salute”. E ora si impegnano “a rafforzare le proprie misure di prevenzione e contenimento della diffusione dell’epidemia in linea con le indicazioni dell’Istituto Superiore di Sanità“. Le buone intenzioni e le azioni concrete come quelle di Fca, che sta fermando quattro stabilimenti per adottare nuove misure di sicurezza, si scontano però con il fatto che tenere aperte linee produttive e catene di montaggio contrasta nettamente con l’indicazione di ridurre il più possibile le occasioni di contatto tra le persone.

I casi positivi negli stabilimenti e i rischi per la sicurezza – Che i problemi ci siano lo dimostra la cronaca: solo oggi sono stati trovati positivi al virus un dipendente del centro di distribuzione Amazon di Torrazza Piemonte e un operaio della Piaggio di Pontedera. In entrambi i casi solo i lavoratori che erano stati in stretto contatto con loro sono stati messi in quarantena e gli stabilimenti restano aperti. E c’è un altro aspetto da considerare: le regole di distanziamento rischiano di rallentare i soccorsi in caso di incidenti sul lavoro, come lamentano i sindacati dopo che ieri un collaboratore della ex Italcarni di Carpi è morto stritolato da un macchinario.

I sindacati: “Inaccettabile l’autodeterminazione degli imprenditori”Cgil, Cisl e Uil della Lombardia, in attesa della decisione del governo sulla serrata che è attesa per stasera, definiscono “non accettabile” la”autodeterminazione” da parte di Confindustria delle scelte “relativamente a chi può e chi non può chiudere e lavorare”. I sindacati si dicono “consapevoli che ci sono alcune produzioni e servizi indispensabili, impianti che vanno manutenuti e messi in sicurezza con personale dedicato”. Ma “questo non si può ridurre ad una parzialità e autoreferenzialità delle scelte o, peggio ancora, al ritenere che basta chiudere la mensa per applicare tutte le norme di sicurezza che garantiscano a tutti i lavoratori la sicura salvaguardia dai pericoli di contagio”. Fim-Cisl, Fiom-Cgil e Uilm-Uil di Milano aggiungono che “in innumerevoli casi delegati e lavoratori segnalano condizioni di sicurezza non rispondenti a quanto previsto dal Ministero della Salute e dai provvedimenti emanati fino ad ora e questo non è ammissibile”.

A livello nazionale le stesse sigle registrano problemi simili e chiedono “l’estensione a tutto il paese delle misure di prevenzione e contenimento facendo maggiormente ricorso allo smart working, aumentando le fermate, riducendo la produzione attraverso il ricorso alla cassa integrazione, alle ferie pregresse e agli scaglionamenti per l’accesso nelle mense e negli spogliatoi.

I piccoli esercenti e i franchisee non si oppongono – Chi invece non fa resistenza alla chiusura generalizzata, vista la situazione, sono i piccoli esercenti: la Confesercenti si limita a chiedere “risposte urgenti per fronteggiare il blocco delle attività” ed evitare che “lo stop forzato metta in crisi autonomi ed imprese”. Federfranchising chiede non solo che gli imprenditori nei centri commerciali e nelle grandi stazioni, ma anche negli outlet, nei retail park e nei centri storici, siano “liberi di decidere se chiudere o meno la propria attività, senza vedersi applicate penali”, ma arriva ad auspicare che rifletta “di chiudere direttamente centri commerciali e altre strutture” che invece ora sono aperti dal lunedì al venerdì.