Giustizia & Impunità

Prescrizione: il confronto sulla riforma ridotto a corrida da Renzi, penalisti e falsi garantisti

Dal palco di Cinecittà, location ideale per uno spettacolare ultimatum, Matteo Renzi rivolto alla sua platea di fedelissimi ha scandito con tono roboante queste parole: “A Bonafede dico fermati finché sei in tempo perché in Parlamento votiamo contro la follia sulla prescrizione. Patti chiari e amicizia lunga, senza di noi non avete i voti al Senato e forse nemmeno alla Camera. Tra la barbarie e la civiltà noi stiamo con la civiltà”. E non bastando, ha aggiunto con piglio sprezzante: “Tra le poltrone e la civiltà giuridica noi scegliamo la civiltà giuridica”.

Alle sue spalle per concentrare l’attenzione su qualcosa di emotivamente impattante, anche se nemmeno vagamente attinente all’istituto della prescrizione e alla riforma Bonafede, una gigantografia dell’arresto di Enzo Tortora suprema esemplificazione di errore giudiziario ed ingiusta detenzione, totalmente fuori contesto e ancora una volta bellamente strumentalizzato per pura propaganda politica.

D’altronde la disinvoltura, la spregiudicatezza e la volatilità del Renzipensiero è testimoniata dalle sue spettacolari giravolte. Ce l’ha opportunamente ricordato Marco Travaglio, che sembra essere rimasto l’unico scrivente nonché direttore di giornale dotato di memoria, sul Fatto del 23 gennaio e l’ha ribadito ad 8 e mezzo di lunedì 3 febbraio: nel 2015, il 18 febbraio, la posizione ufficiale del suo Pd, secondo le parole testuali del capogruppo in commissione giustizia, era “che la prescrizione deve cessare di decorrere dopo l’emanazione del decreto di rinvio a giudizio” con la conseguenza di evitare la rottamazione di un numero di processi infinitamente superiore rispetto alla riforma Bonafede e dunque di “ingolfare” molto più pesantemente l’apparato giudiziario.

Ma non basta perché l’attuale responsabile della giustizia di IV, allora Pd, Giuseppe Cucca, firmava insieme a Felice Casson un emendamento che rispetto alla fin troppo moderata riforma Bonafede, bollata da Renzi come “obbrobrio e barbarie giustizialista”, era semplicemente dirompente.

Infatti recitava così: “La prescrizione cessa comunque di operare dopo la sentenza di primo grado. Il termine della prescrizione decorre dal giorno in cui la notizia di reato viene acquisita o perviene al pubblico ministero”. La decorrenza della prescrizione da quando si ha notizia del reato piuttosto che dalla commissione del medesimo, analogamente a quanto avviene in Germania per i politici, consentirebbe di non far finire al macero molti reati contro la Pubblica Amministrazione ed in particolare i reati finanziari, evidenziati con gli accertamenti in anni successivi, con la conseguenza di assicurare alla giustizia più evasori e di aumentare notevolmente la mole di lavoro nei tribunali.

Un anno prima, il 20 novembre 2014 per intercettare e cavalcare lo sconcerto e l’amarezza suscitati dalla sentenza della Cassazione che aveva annullato per prescrizione la condanna in appello per disastro ambientale nel processo Eternit, lo stesso Matteo Renzi aveva esclamato: “Basta con l’incubo prescrizione, bisogna modificare le regole. O il caso Eternit non è un reato o va cambiata la prescrizione: non è possibile che le regole facciano saltare la domanda di giustizia“.

Non è stato naturalmente solo Renzi con i suoi “giureconsulti”di Italia Viva a degradare il cosiddetto “confronto” sulla prescrizione ad una carrellata di voltafaccia e macroscopiche contraddizioni, ad una caotica caterva di svarioni giuridici come la sovrapposizione e confusione tra condanna definitiva e custodia cautelare (regolata quest’ultima tassativamente nei tempi dal legislatore per le indagini preliminari e per ogni grado di giudizio e totalmente estranea alla riforma Bonafede), ad un grumo di semplici bugie riguardo la comparazione con le “grandi democrazie”.

Da settimane si assiste ad un circo politico-mediatico che sul nervo scoperto della prescrizione è degenerato ulteriormente in trucida corrida dove a soccombere deve essere “la bestia giustizialista”, il M5S portatore di “barbarie”, colpevole di coerenza e determinato (speriamo) a difendere un argine minimale per garantire certezza della pena e giustizia alle vittime di reato e alla collettività.

Un termine ragionevole per fermare la prescrizione non può essere ridotto ad “uno dei totem del M5S” (come sostiene Verini responsabile giustizia del Pd) o ad un’impuntatura da ansia di protagonismo in piena crisi come si dice apertamente o si vocifera al Nazareno dove non si vuole lasciare a Renzi la bandiera del cosiddetto garantismo e dove gli “ex-renziani” sono decisamente più vicini a FI che a Bonafede.

Poi accanto alle strumentalizzazioni della propaganda politica non vanno dimenticate le proteste “folkloristiche” di molti avvocati penalisti contro l’ergastolo processuale per imputati a vita in occasione dell’apertura di un anno giudiziario “pirotecnico”, l’aggettivazione benevola e pittoresca è di un giornalista della Stampa. Da segnalare la molto discutibile sfilata anti-Davigo a Milano di un drappello di sedicenti iper- libertari e garantisti che vogliono censurare e togliere il diritto di esprimersi ad un componente togato del Csm e la sceneggiata dell’avvocatura napoletana ammanettata, irrispettosa in primis dei detenuti che, credo, dovrebbe suscitare sgomento e vergogna in qualsiasi cittadino consapevole.