Diritti

Eutanasia, finalmente due buone notizie. Ora non bisogna mollare la presa

Finalmente due buone notizie sui temi delle scelte di fine vita, uno dei principali “campi di battaglia” della Associazione Luca Coscioni: la presentazione di un nuovo disegno di legge per la legalizzazione dell’eutanasia, che prende le mosse dalle recenti deliberazioni della Corte Costituzionale; l’impegno del ministro della Sanità Roberto Speranza per la nascita della Banca dati nazionale sulle Dat (Dichiarazioni anticipate di trattamento o ”Testamento biologico”).

Il ddl sull’eutanasia ha come prima firmataria la senatrice Pd Monica Cirinnà, protagonista della battaglia sulle unioni civili, legalizzate per legge nel maggio del 2016, e da sempre impegnatissima nel campo dei diritti civili. Insieme a lei, hanno sottoscritto il testo Tommaso Cerno e Roberto Rampi (Pd), Loredana De Petris (Leu), Matteo Mantero (M5s), Riccardo Nencini (Psi-Italia viva) e Paola Nugnes (Misto). Dunque, rappresentanti di tutti i gruppi politici che sostengono il governo Conte bis: una premessa positiva e molto importante per il cammino – certamente non facile – della legge in Parlamento, visto che questi gruppi raggiungono la maggioranza non solo alla Camera, ma anche (sia pure un po’ più a fatica) al Senato.

Il ddl riprende le quattro “condizioni” indicate dalla Corte Costituzionale con la sua delibera relativa al processo Marco Cappato/Dj Fabo: condizioni che riguardavano, come noto, l’aiuto al suicidio, penalmente punito dall’articolo 580 del codice penale, ma che appaiono perfettamente applicabili all’eutanasia. Le condizioni sono:

1. Che la richiesta di eutanasia sia autonomamente e liberamente formata;
2. Che il paziente sia tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale;
3. Che sia affetto da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che egli reputa intollerabili;
4. Che egli sia pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli.

Il punto tre è particolarmente importante perché in una prima stesura del comunicato stampa della Corte si leggeva “fisiche e psichiche” e solo successivamente la stessa Corte ha precisato che si trattava di un refuso e che la congiunzione giusta è “o” e non “e”. In questo secondo caso i contrari all’eutanasia avrebbero escluso dal novero degli “aventi diritto” tutti i malati – sia pure gravissimi o addirittura terminali – le cui sofferenze fossero “solo” psicologiche.

Dunque, l’eutanasia non sarebbe stata ammissibile per un malato che – pur senza avere particolari sofferenze fisiche – fosse ridotto alla disperazione dalle proprie condizioni di vita (o forse è più coretto dire “di non vita”): nessuna speranza di guarigione, desiderio ardente di “farla finita” e soprattutto perdita di dignità: caso purtroppo comune, l’incontinenza e la necessità di ricorrere ai ripugnanti “pannoloni”. Si sarebbe così giunti a negare una morte dignitosa – fra gli altri – a gran parte dei mille malati che ogni anno ricorrono al suicidio per trovare la loro “uscita di sicurezza”.

La seconda notizia positiva l’ha data il ministro della Salute Roberto Speranza rispondendo a una interrogazione di Riccardo Magi (deputato di +Europa e grande sostenitore dell’Associazione Coscioni) sulla Banca dati nazionale delle Dat. Speranza ha fissato una data da non superare: il decreto del ministro sarà emanato entro il prossimo 16 dicembre, la data in cui è prevista l’udienza al Tar del Lazio, presentata dall’Associazione Coscioni per la mancata istituzione di quello strumento informatico, previsto dalla legge del dicembre 2017 e già finanziato con due milioni di euro stanziati con la legge finanziaria 2018.

La Banca dati è fondamentale per applicare davvero il biotestamento, perché rende possibile far conoscere ai medici, che devono prendere decisioni su un paziente incapace di esprimersi, quali sono le sue volontà. Ora, la preghiera che rivolgo a chiunque comprenda l’importanza delle Dat (basta pensare che se Eluana Englaro avesse potuto lasciare all’epoca il suo testamento biologico si sarebbero risparmiati a lei e i suoi familiari 17 anni di stato vegetativo) è di depositare le proprie e di indurre familiari e amici a fare lo stesso, per evitare che una legge così importante resti in buona parte priva dei suoi risultati.

E’ inutile dire quanto si sia impegnata l’Associazione Coscioni sul tema dell’eutanasia. La vicenda di Dj Fabo e della sua coraggiosa compagna ha commosso tutto il Paese, che ha tifato appassionatamente per l’assoluzione di Marco Cappato, “colpevole” solo di aver aiutato un uomo tetraplegico e cieco, ridotto alla disperazione, a trovare una morte dignitosa in Svizzera.

Forse meno noto è il ruolo che l’Associazione ha svolto per far approvare – negli ultimi giorni della passata legislatura – la legge sulle Dat, con una attività di persuasione nei confronti dei maggiori esponenti del Senato, impegnati moralmente anche su un’altra legge – lo ius soli – assolutamente giusta, ma priva di ogni possibilità di approvazione in quel tempo ristretto e con uno schieramento contrario invalicabile. Ora che sono passati quasi due anni da quelle giornate frenetiche, desidero ringraziare in particolare – per la disponibilità al dialogo che mi offrirono i dirigenti dell’Associazione Coscioni – l’ex presidente del Senato Pietro Grasso e l’allora capogruppo del Pd Luigi Zanda.

Ora, il problema è quello di non mollare la presa e di profittare di una situazione parlamentare che potrebbe far divenire realtà il sogno di Piergiorgio Welby e di tanti altri malati: legalizzare l’eutanasia. E anche di evitare almeno una parte di quei tre suicidi di malati al giorno, che potrebbero morire serenamente e con dignità nel loro letto e a fianco dei loro cari, anziché gettarsi nel vuoto o impiccarsi per evitare atroci e inutili sofferenze fisiche o psichiche.

Penso a mio fratello Michele, che volle sottrarsi con un tragico volo all’umiliazione della incontinenza. E anche per lui raddoppierò il mio impegno perché in Italia sia possibile per tutti “una morte degna”. Contrastando con forza l’insopportabile ingerenza delle gerarchie vaticane nelle vicende politiche italiane e il fanatismo di chi – come il presidente della Cei Gualtiero Bassetti – sostiene che “vivere è un dovere”, indifferente al fatto che ormai il 93% degli italiani si dice a favore dell’eutanasia.