Politica

Il M5s a dieci anni dalla fondazione si rivela per quel che è: un partito centralista. Come la Dc

I festeggiamenti per il decennale della fondazione del M5s lasciano spazio a gravi perplessità. Il Movimento mantiene molte delle sue originali ambiguità e resta motivo di grave preoccupazione per la democrazia del Paese. L’elenco dei cinque leader la cui posizione è stata analizzata da Il Fatto Quotidiano solleva il primo interrogativo: solo due tra i cinque sono militanti “eleggibili” e infatti eletti: Luigi Di Maio e Roberto Fico. Giuseppe Conte non è né militante, né eletto ma cooptato e “naturalizzato”.

Gli altri due sono indefinibili: Beppe Grillo, il Garante – né eletto, né eleggibile – grande trascinatore e i cui interventi soprattutto sul blog spesso non erano suoi, ma scritti dallo staff di Gianroberto Casaleggio; e Davide Casaleggio, il padrone di Rousseau, né eletto né eleggibile. I non eleggibili apparentemente detengono il potere molto più degli eletti e sembra che la retorica per cui l’eletto sarebbe il delegato dell’elettore nasconda invece che l’eletto è il delegato del non eleggibile.

Molte volte si sono infatti verificati in passato episodi nei quali una affermazione pubblica fatta da un eletto veniva sconfessata da un non eleggibile; ad esempio questo accadde recentemente a Davide Barillari, sconfessato da Casaleggio tramite il blog delle Stelle. Barillari aveva torto, ma il merito della questione non sta nelle ragioni e nei torti dei partecipanti, ma nella gestione del potere all’interno del Movimento.

Una seconda ragione di perplessità è l’ambiguità del messaggio propagandistico veicolato dai leader, in proprio o per il tramite dei propri sostenitori. Il Movimento dei Vaffa Days di Beppe Grillo, della diffamazione degli scienziati e degli esperti, ben rappresentato da Di Maio e Alessandro Di Battista, è incompatibile con la dignitosa figura di Conte, apprezzato per la correttezza istituzionale dimostrata durante la crisi del governo M5s-Lega.

Non ci possono essere dubbi che questa ambiguità sia stata alla base del drastico calo di consensi del M5s dal 33% del 2018 al 17% del 2019: prima che il Movimento andasse al governo, l’ambiguità del programma aveva permesso ad ogni elettore di credere di essere rappresentato nel programma. Raggiunto il governo e passati dalle parole ai fatti l’ambiguità non poteva essere mantenuta e molti elettori sono rimasti delusi. Continuare a riproporre ambiguità significa ripetere la stessa strada e prepararsi la stessa sequenza di successo e insuccesso, su scala ridotta – perché naturalmente non tutti i delusi sono recuperabili.

Una terza ragione di perplessità, analizzata su queste pagine sia da Pierfranco Pellizzetti che da Luca Fazzi, sta nel fallimento dell’idea che i problemi del paese siano risolvibili con manovre approssimative ideate da una classe politica di inesperti, fallimento impietosamente certificato dai parametri economici, solo alcuni dei quali sono provvisoriamente risaliti grazie all’alleanza con il Pd. Un’altra manifestazione della tara di nascita per cui la competenza è un optional sta nel fatto che persino i ministri in carica spesso si rivolgono ai ciarlatani piuttosto che agli esperti, come testimoniato da varie scelte recenti del ministro Lorenzo Fioramonti.

Che fare adesso? Il Movimento ha ottenuto il 33% dei voti alle scorse elezioni politiche ed è attualmente stimato intorno al 20%: è una forza politica che non può essere ignorata e sarebbe molto dannoso per il paese che chi rappresenta queste quote di elettorato non partecipasse al governo. Inoltre il Movimento è di fatto un partito di centro, come dimostrato dalla sua capacità di allearsi sia con la Lega che con il Pd.

Progettare una alleanza politica che lo escluda è innaturale e deleterio. È paradossale che il partito che si autodefiniva “né di destra, né di sinistra” perché rivoluzionario si sia rivelato tale perché centralista, come la vecchia Dc. Ma questi sono i fatti e ignorarli non solo sarebbe stupido, ma impedirebbe di accettare che nessuna maggioranza stabile del prossimo futuro potrà escludere il M5s come nessuna maggioranza del passato poteva escludere la Dc. Che a molti elettori, me compreso, nessuna maggioranza del prossimo futuro piaccia non cambia i dati di fatto.