Nel 2012 litigano furiosamente, poi fanno la pace e diventano l'uno sponsor dell'altro anche sugli scenari internazionali per almeno tre anni, ovvero fino alla vittoria del No a referendum costituzionale. È l'inizio della fine, che diventa ufficiale con le parole dell'amministratore delegato, ma che si era già consumata nei mesi scorsi: decisivi i sondaggi negativi e il vento cambiato intorno all'ex Rottamatore
Il 2016 è l’anno del referendum costituzionale. Marchionne inizia a parlare come Renzi: “È importante togliersi quelli che il premier chiama i gufi, coloro che criticano Fca e mettono in dubbio la possibilità di raggiungere gli obiettivi del 2018″(11 gennaio). Dopo altre smancerie e con la prova del nove del referendum che si avvicina, Marchionne decide di gettare la maschera: “In Italia voterei Renzi” dice il 17 marzo, con il premier che il 2 aprile sottolinea come “ha fatto più Marchionne che certi sindacalisti”. Il 5 aprile, infine, si presenta all’incontro di Angela Merkel con una evidente spilletta dell’Alfa Romeo appuntata al petto. Sergio e Matteo, l’uno sponsor dell’altro e viceversa. A fine agosto (28), poi, l’endorsement definitivo: Marchionne fa sapere che voterà sì al referendum costituzionale. Renzi gongola e si prepara all’appuntamento più importante della sua carriera politica. Lui contro il fronte del No, che non esita a descrivere “accozzaglia“. Se vince impera, se perde va a casa. Il 24 novembre, a 10 giorni dal voto, Marchionne fa un ultimo appello: “Abbiamo confuso Renzi con la riforma“, invece “è un altro discorso“, dice. “Spero fortemente che ci sia un voto positivo” perché “la riforma non è perfetta ma qualcosa va fatto. Poi si può sempre migliorare. È il momento di sostenere il nostro primo ministro“.