Nel 2012 litigano furiosamente, poi fanno la pace e diventano l'uno sponsor dell'altro anche sugli scenari internazionali per almeno tre anni, ovvero fino alla vittoria del No a referendum costituzionale. È l'inizio della fine, che diventa ufficiale con le parole dell'amministratore delegato, ma che si era già consumata nei mesi scorsi: decisivi i sondaggi negativi e il vento cambiato intorno all'ex Rottamatore
Fino a qualche mese fa, tuttavia, il rapporto tra i due assomigliava a quello che ci può essere tra lo sportivo di grido e la sua wag: sostegno incondizionato, seppur con vuoto a rendere. Insieme nelle occasioni ufficiali, l’uno a tirar la volata all’altro. Erano i tempi del Renzi rampante, del Renzi presidente del Consiglio, del Renzi riformista. E del Marchionne suo main sponsor. La loro storia d’amore, tuttavia, è iniziata con una lite furibonda. 24 settembre 2012, l’allora sindaco di Firenze ha appena annunciato la candidatura alle primarie del centrosinistra contro Bersani, Tabacci e Vendola. Ospite a Porta a Porta, non le manda a dire: “Marchionne ha raccontato balle agli italiani dicendo ‘votate sì al referendum e poi investo 20 miliardi”’. Il riferimento era la consultazione di Pomigliano d’Arco per Fabbrica Italia. La risposta del manager italo-canadese non si fa attendere. Ed è lontanissima dallo stile detroiter dell’ad Fca. Che il 10 ottobre da Bruxelles, a margine di una tavola rotonda sulla mobilità con alcuni studenti universitari, dice: “Renzi pensa di essere come Obama ma ha ancora molta strada da fare”, è una ”brutta copia” che per di più è solo il ”sindaco di una città piccola e povera”. Apriti cielo. Contro il manager italo-canadese si schiera tutto il centrosinistra italiano, il web e ovviamente lo stesso Matteo Renzi: “Si sciacqui la bocca prima di parlare di Firenze” attacca a distanza di qualche ora, mettendoci il carico il giorno seguente da Arezzo con l’indimenticabile “noi abbiamo fatto il Rinascimento, lui solo la Duna“.