Nel 2012 litigano furiosamente, poi fanno la pace e diventano l'uno sponsor dell'altro anche sugli scenari internazionali per almeno tre anni, ovvero fino alla vittoria del No a referendum costituzionale. È l'inizio della fine, che diventa ufficiale con le parole dell'amministratore delegato, ma che si era già consumata nei mesi scorsi: decisivi i sondaggi negativi e il vento cambiato intorno all'ex Rottamatore
È guerra aperta. Controreplica di Marchionne: “Renzi non è adeguato a guidare il Paese. Una maggiore esperienza, che può solo accumularsi nel tempo, lo renderà più maturo e di conseguenza gli eviterà di esprimere opinioni senza logica contro la Fiat e la sua posizione industriale nel Paese“. Renzi incassa, impara la lezione e “diventa più maturo” nell’arco di una settimana. A Torino, il 21 ottobre, dichiara: “Se dovessimo assumere responsabilità di governo ci relazioneremo con Fiat per quello che è: una delle più grandi aziende di questo Paese”. Il segno di pace viene raccolto, anche perché Renzi si candida alle primarie del Pd: troppo importante per il manager italo-canadese tenerselo buono. La conferma definitiva arriva 8 mesi dopo. Marchionne il 13 giugno va a Firenze per l’assemblea di Confindustria: prima annuncia di aver comprato una pagina su un quotidiano locale per chiarire l’accaduto, poi segue l’evento fianco a fianco con Renzi. Infine, nel suo intervento, individua il colpevole del malinteso con la città: l’inglese. “Ho fatto molta attenzione a rimuovere ogni riferimento all’inglese per non essere frainteso” dice, sottolineando che il famoso riferimento a quella Firenze piccola e povera altro non era che una frase “registrata da un cosiddetto giornalista, malamente tradotta e addossata a me. Chi mi ha attribuito quei giudizi ha fatto, come si direbbe qui, una bella bischerata“.