Capitoli

  1. Stadi in mano ai clan e i calciatori amici dei boss: nella relazione dell’Antimafia i tentacoli delle piovre sul calcio italiano
  2. Il pallone come consenso sociale
  3. Casalesi football club: il riciclaggio 
  4. I dilettanti, figli di un boss minore 
  5. L'amico degli amici? Ha il numero 10 
  6. Catania e la vicenda Biagianti
  7. Napoli e lo striscione per Lavezzi
  8. Juve, la 'ndrangheta decide i nuovi gruppi
  9. Le zone grigie di Genova e Lazio
Mafie

Juve, la 'ndrangheta decide i nuovi gruppi - 8/9

Dopo diversi mesi di audizioni, la commissione Antimafia ha approvato all'unanimità la relazione su mafia e pallone. "Il crimine organizzato intuisce nel calcio e nelle attività collegate - scrive Palazzo San Macuto - ghiotte opportunità per ampliare i traffici illeciti e i canali di reinvestimento dei capitali sporchi". Dalle piccole società dilettantistiche fino alle vicende che hanno coinvolto Fabrizio Miccoli, l'altra faccia dello sport più popolare tra gli italiani

Al di là degli esiti dei processi, sia penale sia sportivo che in primo grado ha visto i bianconeri condannati per il bagarinaggio, la commissione Antimafia evidenzia come dall’inchiesta Alto Piemonte e da altre indagini precedenti emerga un quadro “molto preoccupante di infiltrazione ‘ndranghetista nei gruppi di tifosi organizzati della Juventus”. I primi segnali dell’interessamento della ‘ndrangheta alle partite nell’Allianz Stadium sono emersi negli anni 2012 e 2013, “in un contesto del tutto inaspettato”, nel corso di un’indagine su un’associazione di tipo mafioso di origine rumena. Da quel gruppo, i Templari, le inchieste toccano poi i Bravi Ragazzi e i Viking, fino alla sentenza del gup del tribunale di Torino che lo scorso 30 giugno ha condannato con rito abbreviato Saverio e Rocco Dominello per associazione mafiosa e come i mandanti di un tentato omicidio. Il giudice definisce il più piccolo dei Dominello, Rocco, come un  “deferente tifoso” dal lato dei rapporti con la società Juventus e, grazie al ruolo del padre Saverio, “referente della ‘ndrangheta dal lato della gestione dei rapporti con i gruppi del tifo organizzato juventino”. Il tribunale cristallizza una situazione assai più ampia: “Gli elementi raccolti dimostrano – scrive il gup – anzitutto l’esistenza di un sistema di ripartizione dei gruppi di tifosi organizzati fra diverse articolazioni locali della ‘ndrangheta, che non a caso devono prestare il proprio assenso all’ingresso in curva di nuovi soggetti in quanto ciò comporta evidenti ricadute di carattere economico“. Un controllo tanto capillare che “le decisioni di maggior rilievo e la definizione di contrasti particolarmente accesi” vengono risolti attraversi la “‘casa madre’ in Calabria”. E se qualcuno voleva creare il proprio gruppo ultras “erano necessarie due autorizzazioni: una da parte degli ultras storici, una da parte della ‘ndrangheta”. Il tifo? Importava poco, l’obiettivo era lucrare sul bagarinaggio dei biglietti. E per questo era stato suggellato un accordo, sostiene l’Antimafia, citando le intercettazioni agli atti del processo: “Andate avanti e non vi preoccupate, che abbiamo Rosarno, Barrittieri, Seminara, Reggio…”, dicevano gli indagati al telefono. E ancora: “E se ve lo dice lui sapete chi ve lo ha detto? Ve lo ha detto Rosarno!!! Quelli che comandano, non ve lo ha detto solo Saverio…”, “Andiamo avanti che non ci tocca nessuno a noi (…) non gli conviene che tocchino a noi… che veramente, abbiamo la possibilità di fare la guerra veramente”.