Capitoli

  1. Stadi in mano ai clan e i calciatori amici dei boss: nella relazione dell’Antimafia i tentacoli delle piovre sul calcio italiano
  2. Il pallone come consenso sociale
  3. Casalesi football club: il riciclaggio 
  4. I dilettanti, figli di un boss minore 
  5. L'amico degli amici? Ha il numero 10 
  6. Catania e la vicenda Biagianti
  7. Napoli e lo striscione per Lavezzi
  8. Juve, la 'ndrangheta decide i nuovi gruppi
  9. Le zone grigie di Genova e Lazio
Mafie

Catania e la vicenda Biagianti - 6/9

Dopo diversi mesi di audizioni, la commissione Antimafia ha approvato all'unanimità la relazione su mafia e pallone. "Il crimine organizzato intuisce nel calcio e nelle attività collegate - scrive Palazzo San Macuto - ghiotte opportunità per ampliare i traffici illeciti e i canali di reinvestimento dei capitali sporchi". Dalle piccole società dilettantistiche fino alle vicende che hanno coinvolto Fabrizio Miccoli, l'altra faccia dello sport più popolare tra gli italiani

Per capire la sfrontatezza degli ultras, la commissione Antimafia parte da Catania e dal “mutuo soccorso” all’interno della curva dopo gli arresti per gli scontri prima di Catania-Palermo nei quali morì l’ispettore Filippo Raciti. “Vere e proprie raccolte di fondi” tra gli i tifosi organizzati “per sostenere le spese legali delle famiglie” con metodi “analoghi” a quelli riscontrati, sostengono i parlamentari “per le consorterie mafiose”. In una curva dove i legami con i clan non mancano: “Alcuni leader dei gruppi ultras maggiormente rappresentativi all’interno del locale stadio Angelo Massimino vantavano rapporti diretti con la criminalità organizzata mafiosa – si legge nella relazione – sia per i legami di parentela con alcuni esponenti, sia per i precedenti penali specifici che gli stessi annoveravano”. Due nomi per tutti: il leader degli “Irriducibili”, Rosario Piacenti, “appartenente alla omonima famiglia mafiosa del quartiere Picanello”, e Stefano Africano, condannati nel 2016 per tentata estorsione ai danni del calciatore rossoblù Marco Biagianti per “agevolare l’associazione mafiosa dei Cursoti”. La sentenza viene definita “emblematica” dai parlamentari: il giocatore, ancora oggi capitano della squadra, viene avvicinato dai due capi ultras che “tentano di estorcergli una somma di denaro di 5 mila euro al fine di poter sostenere, come accerterà il tribunale, alcune “spese processuali”, con chiaro riferimento alla loro appartenenza ad ambienti criminali”. Biagianti non denunciò né si è costituito parte civile “intimidito dal chiaro contesto criminale mafioso” e durante il processo “ha sostenuto la tesi difensiva degli imputati – poi smentita dal tribunale – secondo la quale i soldi gli erano stati chiesti come forma di sostegno alla tifoseria delle spese attinenti alle coreografie”.