Capitoli

  1. Stadi in mano ai clan e i calciatori amici dei boss: nella relazione dell’Antimafia i tentacoli delle piovre sul calcio italiano
  2. Il pallone come consenso sociale
  3. Casalesi football club: il riciclaggio 
  4. I dilettanti, figli di un boss minore 
  5. L'amico degli amici? Ha il numero 10 
  6. Catania e la vicenda Biagianti
  7. Napoli e lo striscione per Lavezzi
  8. Juve, la 'ndrangheta decide i nuovi gruppi
  9. Le zone grigie di Genova e Lazio
Mafie

Napoli e lo striscione per Lavezzi - 7/9

Dopo diversi mesi di audizioni, la commissione Antimafia ha approvato all'unanimità la relazione su mafia e pallone. "Il crimine organizzato intuisce nel calcio e nelle attività collegate - scrive Palazzo San Macuto - ghiotte opportunità per ampliare i traffici illeciti e i canali di reinvestimento dei capitali sporchi". Dalle piccole società dilettantistiche fino alle vicende che hanno coinvolto Fabrizio Miccoli, l'altra faccia dello sport più popolare tra gli italiani

Non è migliore la fotografia scattata all’interno del San Paolo. Nel corso del lavoro sulle infiltrazioni criminali nelle curve, la commissione ha ascoltato il capo della Digos di Napoli, Luigi Bonagura, e dalla pm antimafia Enrica Parascandolo. “Ovviamente, i vari gruppi ultras sono espressione dei clan, non fosse altro che per la loro origine territoriale”, racconta il poliziotto. “Parecchie” sono a suo avviso le persone con precedenti all’interno dei due settori più caldi dell’impianto di Fuorigrotta: “Forse – spiega – facciamo prima a escludere quelle che non ne hanno”. Dopo aver ripercorso le vicende di Genny ‘a Carogna e Antonio Lo Russo, figlio di Salvatore e pentito del clan dei “Capitoni” che seguì Napoli-Parma da bordocampo con un pass da giardiniere, Parascandolo si sofferma sugli striscioni in favore del Pocho Lavezzi comparsi in entrambe le curve: “Vi erano stati dei dissidi tra giocatori e società, per cui si paventava l’allontanamento del giocatore dal Napoli, e quindi ci fu l’esposizione di uno striscione a tutela del giocatore per dimostrare alla società che la tifoseria voleva Lavezzi a Napoli”, spiega. Secondo le parole di Lo Russo, l’attaccante argentino “aveva interesse a che la tifoseria stesse dalla sua parte e quindi a esporre uno striscione in sua difesa del tenore «Lavezzi non si tocca» o qualcosa del genere e si rivolse” a Lo Russo “per ottenere l’esposizione dello striscione su entrambe le curve, che non è una cosa così facile, così scontata, perché significa avere il placet di due aree geo-criminali diverse“. L’episodio, aggiunge la magistrata antimafia, “assume un significato simbolico di accordo o almeno di avallo dei clan presenti nelle due curve contrapposte, appunto di ‘placet di due aree geo-criminali diverse'” perché è un dato “notorio che all’interno dello stadio San Paolo esista una suddivisione tra la curva A e la curva B, che in qualche modo rispecchia anche una provenienza territoriale della tifoseria, dove per provenienza territoriale ovviamente mi riferisco, non solo ma anche, purtroppo, ai gruppi camorristici“.