Capitoli

  1. Grandi aziende in crisi, dall’acciaieria di Piombino all’ex Irisbus: le fabbriche date per risorte da Renzi sono in bilico
  2. Il flop di Piombino: crisi senza fine
  3. I nodi dell'Ilva dagli esuberi alle bonifiche
  4. Ex Firema: da gennaio 65 operai senza ammortizzatori sociali
  5. Ex Irisbus, Renzi esulta. Ma ad oggi lavorano solo 70 operai (su 293)
  6. "Mancanza di politica industriale"
Lobby

Grandi aziende in crisi, dall’acciaieria di Piombino all’ex Irisbus: le fabbriche date per risorte da Renzi sono in bilico

"Un'acquisizione strategica", festeggiava l'allora presidente del Consiglio nel dicembre 2014. Ma tre anni dopo, il futuro del siderurgico toscano è ancora in bilico: 2mila addetti in cassa integrazione. Un problema che conoscono bene anche negli stabilimenti Ilva, ex Firema ed ex Irisbus. Ogni volta la stessa storia: subito dopo la firma il segretario Pd esultava dando tutto per risolto. Eppure ancora oggi la vera ripartenza è un miraggio

Questo tour inizia nel centro-nord, dove quasi 2.000 lavoratori continuano a vivere sulla propria pelle (e nel proprio portafoglio) la differenza tra un tweet di giubilo di Matteo Renzi e la ripresa (vera) della produzione in una fabbrica: a Piombino gli altoforni dell’ex Lucchini non sbuffano e il futuro dei lavoratori è sempre più grigio. Dalla Toscana si scende nelle province di Avellino, alla ex Irisbus, e Potenza negli stabilimenti dove la Firema produceva i vagoni dei treni. Poi giù fino a Taranto, città simbolo dell’Ilva messa in sicurezza al prezzo di 4mila e più esuberi, oltre al gentile regalo dell’immunità penale per gli acquirenti fino a quando non verrà portato a termine il cronoprogramma dei lavori. Se nel frattempo l’aria del rione Tamburi dovesse continuare ad essere ammorbata dai veleni del siderurgico, i magistrati non potranno che fare spallucce. L’ultima fermata è in Sicilia, dove da anni si cerca il rilancio di Termini Imerese: “Ad oggi ci sono 120 operai al lavoro su 700”, dicono i sindacati. Gli altri continuano a campare grazie alla cassa integrazione straordinaria.

Il mantra del “made in Italy”, ma poi arrivano gli stranieri
Eccola la situazione delle principali crisi aziendali italiane, sorvolando sulle turbolenze di Alitalia la cui vendita è stata da poco rimandata a dopo il voto. Quello che è mancato davvero – sostengono i rappresentanti dei lavori – è una visione d’insieme: “Quando Renzi poteva dare un indirizzo di politica industriale come presidente del Consiglio non lo ha fatto”. Si è limitato a interventi spot seguiti a breve da dichiarazioni di successo: tutto risolto. Ma non lo era. Adesso c’è un nuovo mantra, la difesa dell’italica industria. Lo scorso 17 ottobre ha detto a Narni: “No a consegnarsi mani e piedi a stranieri”. Il 26 ha ribadito in Campania: “Il made in Italy deve essere difeso anche nella produzione dei bus, come abbiamo fatto durante i #millegiorni”. Basti sapere che nel frattempo l’ex Firema è stata venduta a una newco controllata dal gigante indiano Titagarh, l’Ilva sta passando sotto il controllo del magnate franco-indiano Arcelor Mittal e il rilancio delle acciaierie di Piombino è legato alle scelte di un algerino che non aveva mai avuto a che fare con la siderurgia fino all’acquisto dell’ex Lucchini. E sono questi i due principali fiori all’occhiello appassiti nella geografia delle crisi aziendali che aspettano una vera ripartenza, nonostante da mesi – e più spesso anni – i successi siano già stati annunciati.