Politica

Amministrative di primavera, torna la politica nell’Italia dei “tecnici”. Nove milioni al voto

Lo speciale di ilfattoquotidiano.it sulle elezioni del 6-7 maggio. Le prime dopo l'insediamento del governo Monti, la frattura tra Lega e Pdl, il passo indietro di Berlusconi e Bossi. Mentre il Pd è alle prese con le lacerazioni delle primarie. Non si ferma la corsa alla Casta: a Palermo 1.300 candidati al consiglio comunale, a Isernia un aspirante amministratore ogni 33 abitanti. Da nord a sud, eleggono un nuovo sindaco un migliaio di Comuni

Ora torna la politica. Con le elezioni amministrative di primavera, l’Italia va al voto per la prima volta dopo l’insediamento del governo tecnico di Mario Monti, il rimescolamento di maggioranza e opposizione nel vortice della crisi economica, la frattura tra Pdl e Lega nord, lo scandalo sui fondi del Carroccio, il passo indietro dei due protagonisti assoluti del centrodestra Silvio Berlusconi e Umberto Bossi.

Il 6 e il 7 maggio si vota in 773 Comuni (qui l’elenco completo diffuso dal ministero dell’Interno) per oltre sette milioni di elettori. Aggiungendo le regioni a statuto speciale, che votano in date diverse, si arriva a un migliaio di Comuni e circa nove milioni di elettori. Gli eventuali ballottaggi, nelle 136 città con più di 15 mila abitanti – 22 i capoluoghi di provincia – saranno il 20 e 21 maggio. Ilfattoquotidiano.it racconta passo per passo questa importante corsa con uno speciale continuamente aggiornato dagli articoli dei nostri corrispondenti: i candidati, le alleanze, le campagne elettorali e, alla fine, i vincitori e i vinti.

Scelgono un nuovo sindaco città importanti come Genova e Palermo, dove le primarie del centrosinistra hanno provocato lacerazioni e polemiche. In decine e decine di Comuni del Nord, dal Piemonte al Veneto, Pdl e Lega corrono divisi dopo la rottura sull’appoggio al governo Monti, e il partito nordista si presenta alle urne con le ferite ancora aperte dello scandalo Belsito. Dal Pdl, intanto, sono gemmate nuove liste, come Forza Verona, Forza Como, Forza Piacenza… in sostegno dei candidati in camicia verde. Ma la stessa Lega, lungo il viale del tramonto del fondatore Umberto Bossi, si dilania in lotte intestine che a volte si rivelano autodistruttive. Come a Cerea, vicino a Verona, dove il conflitto fra bossiani e maroniani fa sì che il simbolo leghista non sia presente sulla scheda elettorale di un Comune dove il Carroccio viaggia sul 40 per cento dei consensi. Votano anche i cittadini dell’Aquila, per la prima volta dopo la tragedia del terremoto e le polemiche sulla ricostruzione.

Sullo sfondo, l’eterna corsa italiana a conquistarsi un posto nella Casta, per quanto appannata. A Palermo si sono candidati 1.300 aspiranti consiglieri comunali, a Isernia si registra un candidato ogni 33 elettori (e si mette in lista persino un parroco), nella piccola Alessandria ben 16 persone ambiscono alla carica di primo cittadino. Dal nord al sud incombe come sempre l’ombra del malaffare, delle cricche e delle mafie. Esemplare quel che è successo a Casal di Principe, la capitale della camorra casalese: destra e sinistra si erano messe d’accordo sul nome di un nemico giurato dei clan, l’ex sindaco degli anni Novanta Renato Natale, ma il ministero dell’Interno, a liste già depositate, ha comunicato lo scioglimento del Comune per infiltrazioni mafiose. “La camorra sarà contenta”, ha commentato il sindaco mancato.

Al voto sarebbero dovute andare anche cinque Province: Como, Belluno, Vicenza, Genova, La Spezia e Ancona. Ma è arrivato prima il decreto del governo Monti (6 dicembre 2011) che per risparmiare sui costi ha soppresso l’elezione diretta degli organi provinciali.