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Elezioni europee, non capisco perché concedere il voto fuorisede solo agli studenti

E’ già tardi, ma non è mai troppo tardi per prendere sul serio le prossime Elezioni europee del 9 giugno. Prenderle sul serio significa non considerarle un test per la politica nazionale, ma quello che sono davvero: e cioè le elezioni della base parlamentare dell’Unione Europea. Purtroppo ci sono tanti elementi che concorrono a complicare la lettura della realtà storica che stiamo vivendo, ma in ultima analisi il concetto dovrebbe essere chiaro: fare barriera nei confronti della reazione, ovvero in primis della destra, ridurre i danni nel contesto internazionale anche in vista di una possibile vittoria di Trump. Ne ho parlato nel post con il quale ho documentato la formidabile ondata di manifestazioni antifasciste in Germania.

Occorrerebbe che chi è in grado di influenzare l’opinione pubblica (penso più agli influencer che ai partiti) chiami subito a organizzarsi per non perdere o disperdere i voti progressisti alle Europee. E’ difficile convincere a votare per una formazione progressista chi ha in testa altri valori, e non è facile riportare al voto chi è semplicemente deluso. Ma cominciamo da ciò che potrebbe essere un po’ più facile: portare al voto chi voterebbe se si trattasse solo di scendere i gradini di casa, ed evitare che il suo voto vada disperso.

Sembrano due banalità e invece sono questioni da affrontare subito, e che possono valere parecchi seggi nel Parlamento Europeo. Ci sono infatti moltissime persone che se non si organizzano per tempo si troveranno il 9 giugno talmente lontano dai seggi che nessuna presa di coscienza dell’ultima ora li porterà a votare. Il governo sta varando una norma che consentirà agli studenti fuorisede di votare nel capoluogo della Regione in cui si trovano a studiare. Dovranno comunque fare richiesta e organizzarsi per tempo. Non si capisce perché questa concessione riguardi solo gli studenti. C’è infatti una legge già in vigore da tempo che consente a chi è italiano e si trova da qualche parte in Unione Europea di votare presso i consolati e le ambasciate dove è provvisoriamente domiciliato. Basta autocertificarsi, e non cambia se per studio, lavoro o per altro motivo. Anche in questo caso, però, bisogna registrarsi e organizzarsi per tempo.

Molto più complicata è la situazione di chi si trova all’estero, residente o non residente, in paesi extra Ue. Gran Bretagna e Svizzera sono quelli in cui ci sono più italiani. E poi tutta l’America, del Nord e del Sud. In questi casi non c’è ambasciata che tenga. Si può votare solo tornando in Italia, nel proprio comune, ovvero nell’ultimo comune in cui si è avuta la residenza in Italia. Personalmente ritengo queste Elezioni europee talmente importanti che tornerei a votare anche se mi trovassi in Australia. Mi rendo conto che questo ragionamento e questo sentimento non sono diffusi. Ma è anche vero che quasi chiunque, da quasi ovunque, viene almeno una volta all’anno in Italia e potrebbe programmare (se lo decide adesso) di esserci il 9 giugno.

Tra i miei conoscenti ho riscontrato che chi abita in Gran Bretagna non ha ancora capito che per votare alle Europee (e ovviamente alle Regionali) deve tornare. Il passaparola di organizzarsi per tempo è da fare subito, se si vogliono ottenere risultati. Per quanto riguarda i fuorisede non studenti in Italia, le forze di opposizione in Parlamento stanno insistendo perché possano votare anche loro nei capoluoghi delle regioni dove sono domiciliati, ma sarà difficile ottenerlo, e quindi anche questi dovrebbero organizzarsi per tempo. Tenete conto che circa il 10% degli italiani risiede all’estero e che dei residenti in Italia il 10% è fuorisede. Stiamo quindi parlando di milioni di potenziali ma improbabili elettori.

L’altro punto essenziale e quasi preliminare è che si tenga conto dello sbarramento al 4 per cento. Si tratta di uno sbarramento ingiustificato, ma questo purtroppo non è in discussione. Se una lista prende il 3,99 purtroppo tutti i suoi voti vanno persi e quelli che potrebbero essere tre o anche quattro eurodeputati vanno alle liste che superano il quorum, in particolare ai più forti. A destra, come spesso accade, sono più furbi. La Lega sta stringendo accordi con pezzi democristiani del Sud, anche se i democristiani sono centristi e la Lega è ormai, su tutto, a destra di Fratelli d’Italia. Al centro invece al momento Azione e Italia Viva sono divisi e in concorrenza, e solo talvolta Azione arriva al 4 per cento nei sondaggi.

Un’altra formazione che fa riferimento ai liberali europei, Più Europa, viaggia nei sondaggi sotto il 3. A sinistra del Pd e di 5 stelle, l’Alleanza Verdi Sinistra rasenta il 4 per cento e Unione Popolare supera di poco l’1 per cento. Non credo che una eventuale lista pacifista (quella proposta da Santoro) possa fare molto di più. Forse qualcuno capisce le differenze programmatiche tra Azione e Italia Viva, qualcuno in più quelle tra questi due gruppi e Più Europa. Ma sarebbe proprio il caso che si mettessero insieme. Ancora meno comprensibili rischiano di essere le differenze tra l’Alleanza Verdi Sinistra, Unione Popolare e la proposta pacifista di Santoro. Il minimo che si possa chiedere e pretendere è che trovino un accordo sulla base dei rapporti di forza del consenso misurato finora, e tenendo conto che ci sono le preferenze per scegliere le persone, ovvero le sfumature. Il rischio che in presenza di troppe liste nessuna raggiunga il quorum è troppo alto.

Questi due temi, apparentemente poco intriganti, e cioè i viaggi per avvicinarsi alle urne e gli accordi per evitare di disperdere voti, dovrebbero essere importanti, anzi indispensabili, per le drammatiche Elezioni europee che abbiamo davanti.