Economia

Upb: “L’Italia è il paese dell’Eurozona con la politica di bilancio più restrittiva. Comunque non in linea con le raccomandazioni Ue”

Non è una sorpresa, ma ora a ricordarlo è l’Ufficio parlamentare di bilancio, che aggiunge un tassello ulteriore. Non solo la politica fiscale del governo Meloni per il 2023 e per il 2024 è stata molto restrittiva, in contrasto con i proclami della campagna elettorale: se si guarda all’andamento della spesa primaria è stata addirittura la più restrittiva dell’intera Eurozona. La tendenza a chiudere i cordoni della borsa riguarda tutti i Paesi della moneta unica, per effetto del graduale ritiro delle misure anti inflazione e in vista dell’entrata in vigore del nuovo Patto di stabilità, ma in nessun altro Stato è così marcata.

L’indicatore preso in esame dall’Upb è quello utilizzato dalla Commissione europea, la cosiddetta “fiscal stance“, traducibile in “orientamento di bilancio”: misura l’impulso – o freno – che arriva alle economie dalle misure degli esecutivi. Misura la distanza tra l’andamento effettivo della spesa primaria in rapporto al pil (che tiene conto ovviamente anche del contributo dei fondi europei) e un valore di riferimento calcolato ipotizzando una crescita in linea con lo stato di salute dell’economia e l’inflazione. Tralasciando i tecnicismi, basti dire che quando il valore è positivo il Paese sta effettuando una stretta. Ecco: la fiscal stance dell’area euro per il 2023 è dello 0,5% del pil e per il 2024 dello 0,6, quella di Francia e Germania è in linea con la media. Quella italiana arriva invece a 1,6 in entrambi gli anni.

Il risultato, spiega l’organismo indipendente che verifica le previsioni economiche dei governi e valuta il rispetto delle regole di bilancio, dipende dal ritiro di molte misure contro il caro energia ma anche dalla ridefinizione dei bonus edilizi – Superbonus e detrazioni per il rifacimento delle facciate – che comporta una riduzione della voce che misura i sussidi agli investimenti privati e dalla loro riclassificazione contabile, che fa calare le spese in conto capitale.

La spesa primaria netta, che esclude gli interessi sul debito e la componente ciclica per sussidi di disoccupazione e misure una tantum, è una variabile fondamentale perché dovrebbe essere il principale parametro considerato dalla Commissione nel valutare la conformità con il nuovo Patto, su cui sono ancora in corso negoziati in sede di trilogo. Su questo fronte non arrivano buone notizie: come comunicato da Bruxelles lo scorso novembre e ribadito oggi dal commissario Ue Valdis Dombrovskis, nonostante la spesa sia su un percorso di moderazione la crescita dell’aggregato viene valutata “non pienamente in linea” con le raccomandazioni di luglio. Questo perché rispetto ad allora si è verificato un ricorso al Superbonus superiore alle attese e “modifiche legislative che ne hanno cambiato la natura, riducendone l’impatto previsto sulla spesa del 2024″. Ma scaricandola sul 2023, anno per il quale è dunque probabile l’apertura di una procedura di infrazione. Anche perché l’Italia rispetta solo parzialmente pure la raccomandazione sugli interventi di sostegno contro il caro energia: “Prevede di azzerare tali misure entro il 2024 ma di non utilizzare i relativi risparmi a riduzione dell’indebitamento netto.

Roma dovrebbe dunque “tenersi pronta ad adottare le misure necessarie nell’ambito del processo di bilancio nazionale per garantire che la politica di bilancio nel 2024 sia in linea con le raccomandazioni del Consiglio”. Tra i principali paesi dell’area dell’euro, comunque, solo la legge di Bilancio della Spagna le rispetta del tutto. La Francia presenta rischi di mancata e la Germania è stata invitata a ridurre le misure di sostegno in campo energetico, oltre al fatto che la sentenza della Corte costituzionale sul meccanismo di freno al debito “potrebbe richiedere l’adozione di ulteriori interventi di consolidamento” per il 2024 e per gli anni seguenti.