Politica

Con la social card ‘Dedicata a te’ la destra si impegna a controllare i consumi dei poveri

di Carmelo Sant’Angelo

Pane, pasta, carne, pescato fresco, ma non pesce surgelato. Caffè, tè, camomilla, ma non tisane. Miele, ma non marmellate. Zucchero, ma non sale. Aceto di vino, ma non vino. “Madamina, il catalogo è questo” che in Italia fa 382,50 euro, cioè l’importo, una tantum, della carta “Dedicata a te”. A beneficiarne saranno i nuclei con tre o più componenti, ma non ragazze madri, persone vedove, divorziate, senza figli. Ma l’elenco delle esclusioni non si ferma qui. Non potranno beneficiare di questa bella sommetta, pari a 1,04 euro al giorno (da dividere per tre) per un anno, i percettori di: reddito di cittadinanza, sussidio di disoccupazione, reddito d’inclusione, indennità di mobilità, fondi di solidarietà per l’integrazione del reddito, cassa integrazione ecc.

Risorse che saranno erogate con una carta prepagata, che consentirà un doppio controllo: ex ante, impedendone usi non graditi, ed ex post, monitorandone le modalità d’utilizzo. Nel frattempo, i benestanti potranno pagare in contanti fino a cinquemila euro e potranno anche dilettarsi nella caccia al tesoro per trovare un pos sui taxi. In questo strano Paese in cui un automobilista paga sul carburante più tasse di una compagnia aerea; in cui si ripristinano i vitalizi e si continuano a erogarli ai condannati; in cui si riconosce un’indennità di funzione ai capigruppo della Camera dei deputati, con una integrazione della diaria di 1.269,34 euro netti al mese (a saldi invariati per il bilancio di Montecitorio); in cui l’83% dell’Irpef è versata dai lavoratori dipendenti e pensionati… è difficile aggiungere un altro tassello al livello, già massimo, dell’indignazione.

Bisogna riconoscere, però, che la destra si sta impegnando. Questo meccanismo di controllo dei (miseri) consumi è coerente con la rappresentazione meloniana della povertà. C’è il povero scroccone, divanista, che si è guadagnato questa condizione svantaggiata grazie alla sua neghittosità e poi c’è il povero incapace di badare a se stesso, che necessita di una guida e di un supporto. L’opportunismo del primo è arginato dalle misure volte a evitare frodi o usi impropri della carta; l’insipienza del secondo è emendata, invece, con la lista educativa dei generi da acquistare, tipica dell’approccio paternalista.

Già Berlusconi nel 2009 elargì un contributo mensile di 40 euro (1,33 euro al giorno, sic) con la Carta Acquisti per la spesa alimentare e per le bollette di luce e gas. Poi fu la volta di Di Maio con il reddito di cittadinanza. Misura di gran lunga più generosa, ma sempre progettata per evitare “spese immorali”, quali “gratta e vinci, sigarette o beni non di prima necessità”. Ipse dixit.

Ma quali sono le spese morali? E quali sarebbero i beni di prima necessità? Nel 1901, ad esempio, Seebohm Rowntree (industriale che dimostrò come la povertà non fosse una colpa, ma una conseguenza dei bassi salari) annoverava tra i beni necessari la birra e il tabacco, considerati strumenti necessari per l’inclusione sociale maschile nell’Inghilterra dell’epoca. Questa carta non solo non consentirà di affrontare i bisogni primari, ma ostracizzerà anche la parvenza d’inclusione, cioè la possibilità di vivere una “vita normale”: acquistare un libro; pagare un’attività ricreativa scolastica ai figli; sostituire un paio di scarpe bucate; condividere un pranzo frugale in un fast food per rimanere aggrappati a una rete sociale; acquistare della frutta al solito mercato rionale, dove la casalinga riesce talvolta a strappare prezzi migliori rispetto alla grande distribuzione.

Le operaie tessili del Massachusetts nel 1912 volevano “il pane ma anche le rose”. Richiesta oggi rivoluzionaria di fronte a questa destra, sedicente “sociale”, che taglia gli strumenti di sostegno al reddito, si oppone al salario minimo e legifera solo a favore delle partite iva. Persino lo Statuto di Cambridge del 1388, che obbligava lo Stato a occuparsi dei poveri, per il governo Meloni sarebbe roba da bolscevichi!

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