Economia

L’Istat rivede al rialzo il deficit/pil degli ultimi anni: è l’impatto dei crediti da bonus edilizi. Crescita trainata da costruzioni e consumi

Eurostat ha chiarito che le detrazioni cedibili vanno contabilizzate nell'anno in cui si generano. L'impatto netto sul deficit è di 35 miliardi nel biennio 2020-21, mentre il dato 2022 è superiore di oltre 45 miliardi rispetto alle previsioni della Nadef. Ottanta miliardi in tutto, dunque, che vengono caricati sugli anni scorsi e liberano spazio fiscale nei prossimi (ma solo sulla carta). Debito in discesa. Il Mef: "Invertita una tendenza negativa". Conte: "Nessun buco"

L’attesa nota dell’Istat che aggiorna i conti pubblici degli anni tra 2020 e 2022 fa chiarezza sull’impatto dei crediti di imposta legati alle ristrutturazioni edilizie, al centro dello scontro politico dopo che il governo ha bloccato la cedibilità e l’opzione dello sconto in fattura. Il risultato è quello prevedibile dopo i chiarimenti dell’Eurostat, che ha sancito come i crediti cedibili e utilizzabili in compensazione di altri debiti fiscali vadano contabilizzati come spese nell’anno in cui si generano: una netta revisione al rialzo dei deficit dello Stato a partire dal varo del decreto Rilancio con cui il Conte 2 ha introdotto Superbonus, bonus facciate e libera cessione dei crediti. Il rapporto tra indebitamento e pil del 2020 (anno a partire dal quale il Patto di stabilità come noto è stato sospeso) sale dal 9,5 al 9,7%, quello del 2021 dal 7,2 al 9%, quello del 2022 all’8% dal 5,6% stimato nella Nota di aggiornamento al Def. Questo comporterà al contrario un alleggerimento dei disavanzi dei prossimi anni, su cui inizialmente erano state spalmate le detrazioni. Ma utilizzare quegli spazi non sarebbe gratis: aumenterebbe il debito futuro rispetto a quanto previsto finora.

Cambia solo l’anno di contabilizzazione – L’impatto netto sul deficit, cioè il saldo tra maggiori uscite in conto capitale e maggiori entrate legate alle maggiori imposte, secondo i calcoli dell’istituto di statistica è stato di 35 miliardi nel biennio oggetto delle revisioni: 2,7 nel 2020 e 32,3 nel 2021, quando le uscite sono salite di 38,4 miliardi e le entrate di 6. Il deficit 2022 è invece superiore di oltre 45 miliardi rispetto alle previsioni governative. Ottanta miliardi in tutto, dunque, che vengono caricati sugli anni precedenti ma liberano spazio fiscale in quelli successivi, a cui in origine erano stati imputati. Nel lungo periodo non cambia nulla: l’effetto complessivo sui conti, specifica Istat, “è il medesimo, sia che la stessa sia registrata come minore entrata tributaria, sia che venga registrata come maggiore spesa”. L’unica differenza sta nel “profilo temporale”, cioè quando va registrato l’aumento della spesa pubblica. Non c’è nemmeno, come aveva già chiarito il direttore delle statistiche di finanza pubblica di Eurostat Luca Ascoli, un’influenza sul debito: la variazione del debito infatti dipende dal fabbisogno, che si calcola secondo criteri di cassa e cioè in base a quanto si verifica l’uscita vera e propria. Il rapporto debito/Pil del 2020 e 2021 rimane dunque invariato su valori comunque altissimi (154,9% e 149,8%) mentre quello 2022 si attesta al 144,7%, meglio delle stime della Nadef che lo indicavano al 145,7% del Pil.

Il Mef: “Invertita tendenza negativa” – Secondo le ultime stime, il valore complessivo dei crediti accumulati fino a oggi supera i 120 miliardi di euro, solo in parte coperti a bilancio o compensati dalle maggiori entrate fiscali legate all’aumento del giro d’affari dell’edilizia. La cifra è ancora provvisoria: ancora non sono disponibili le operazioni autorizzate dall’Agenzia delle Entrate entro il 16 novembre, quando la detrazione del Superbonus è stata ridotta dal 110 al 90%. L’intervento repentino del nuovo governo (senza alcuna consultazione delle categorie coinvolte) è arrivato proprio per evitare che anche il deficit del 2023 lievitasse, rendendo impossibili altri interventi contro i rincari e per il “superamento della Fornero” in campo pensionistico. Il ministero dell’Economia, dopo il comunicato Istat, ha rivendicato che il decreto “è stato l’indispensabile presupposto a tutela dei conti pubblici per il 2023, invertendo una tendenza negativa certificata oggi dall’Istat”. Quanto alle imprese in difficoltà, il governo si dice “impegnato ad assicurare un’uscita sostenibile da misure non replicabili nelle medesime forme” e “risolvere il grave problema di liquidità finanziaria ereditato da imprudenti misure di cessione del credito non adeguatamente valutate nei loro impatti al momento della loro introduzione”. Misure che però, come ricostruito dal fattoquotidiano.it, sono state poi prorogate per volere di tutti i partiti compresi quelli dell’attuale maggioranza. A partire da Fratelli d’Italia.

Il leader del M5S Giuseppe Conte dal canto suo commenta che “non c’è nessun buco di bilancio, nessuna bolla, nessun debito aggiuntivo. Anzi, è vero l’esatto contrario: grazie alle politiche espansive che abbiamo messo in campo nel 2020, tra cui il Superbonus e la cessione dei crediti d’imposta, il Pil 2021 risulta cresciuto addirittura del 7% e il debito pubblico sta diminuendo più velocemente del previsto, proprio grazie alla crescita del Pil”.

La crescita del Pil grazie a costruzioni e tempo libero – Nel 2022 è in effetti continuata la forte ripresa post pandemia, con il pil in aumento del 6,8% a prezzi di mercato (influenzati dall’elevata inflazione) e del 3,7% in volume dopo il +7% del 2021: un po’ meno rispetto al +3,9% stimato sempre dall’istituto di statistica lo scorso 31 gennaio. A fare da traino sono stati soprattutto la spesa delle famiglie residenti e degli enti pubblici e gli investimenti fissi lordi. Le famiglie, archiviati i lockdown, hanno ricominciato a spendere per il tempo libero facendo volare le uscite per beni (+2,4%) e soprattutto servizi (+8,8%). Gli incrementi più significativi si sono registrati per alberghi e ristoranti (+26,3%), ricreazione e cultura (+19,6%) e vestiario e calzature (+14,8%). In calo invece le spese per alimentari e bevande (-3,7%), che l’anno prima erano state gonfiate dalla permanenza in casa forzata.
Gli investimenti fissi hanno segnato un incremento del 9,4% (contro il +18,6% nel 2021), con un ulteriore boom delle costruzioni (+11,6%) seguite da macchinari e attrezzature (+8,6%), mezzi di trasporto (+8,2%) e prodotti della proprietà intellettuale (+4,5%). Nel 2022 il valore aggiunto complessivo è aumentato in volume del 3,9% grazie al +10,2% delle costruzioni (nel 2021 il valore aggiunto era salito addirittura del 20,7%) e al +4,8% nei servizi, mentre l’agricoltura, silvicoltura e pesca segna un calo dell’1,8% e l’industria in senso stretto dello 0,1%. Nel terziario aumenti altrettanti marcati si sono registrati per commercio, trasporti, alberghi e ristorazione (+10,4%), attività artistiche, di intrattenimento e divertimento, riparazione di beni per la casa e altri servizi (+8,1%) e attività immobiliari (+4,5%). In calo solo le attività finanziarie e assicurative (-3,2%).

Su i posti di lavoro nell’edilizia e appalti – Nel 2022 le unità di lavoro sono aumentate del 3,5%. L’aumento è stato generalizzato: 1,6% nell’industria in senso stretto, 7,6% nelle costruzioni e 3,9% nei servizi. Unica eccezione l’agricoltura, silvicoltura e pesca in cui l’occupazione misurata in Ula è scesa del 2,1%. I redditi da lavoro dipendente sono aumentati del 7%: le retribuzioni lorde hanno registrato incrementi del 5,2% nelle costruzioni, anche in questo caso in testa, del 3,7% in industria e servizi e del 3,3% nel settore agricolo.