Diritti

Casa all’asta? La legge per salvarla c’è ma pochi la conoscono

Quanta disperazione negli occhi di chi, non avendo più la possibilità di pagare il mutuo per mancanza di reddito sufficiente a onorare il prestito, si ritrova la sua prima casa all’asta per la vendita coattiva dell’immobile al fine di soddisfare il credito della banca. Ne ho visti e assistiti tanti che, come pugili bastonati, non avendo avuto la forza o il coraggio di contrastare la banca nelle precedenti fasi del contenzioso si rivolgono al capezzale del medico con la consapevolezza che “ormai non c’è più niente da fare” e aspettano solo il colpo del knockout. Perché quei debitori sconfortati, sebbene abbiano ripreso a produrre reddito e quindi potrebbero ritrovarsi nella condizione di poter pagare il mutuo, non hanno i soldi sufficienti per riscattarla in asta.

Eppure una possibilità di salvare la casa in cui vive la famiglia esiste, ma la conoscono in pochi e ancor meno ne parlano. E’ la strada prevista dalla disciplina della nuova rinegoziazione dei mutui prima casa prevista dall’art. 40 ter della legge 69-2021 (di conversione del dl 41/2021 c.d. decreto Sostegni). La disposizione indicata introduce una nuova ipotesi di rinegoziazione dei mutui ipotecari per l’acquisto di beni immobili destinati a prima casa e oggetto di procedure esecutive, esplicitamente volte a fronteggiare in via eccezionale, temporanea e non ripetibile i più gravi casi di crisi economica dei consumatori.

Tale norma permette, appunto in via del tutto eccezionale, di fornire uno spiraglio di salvezza al consumatore indebitato (ma anche al coniuge o convivente o parenti fino al terzo grado) che, sebbene assista al rischio di vedere la propria casa acquistata da terzi a un’asta giudiziaria perché ormai già pignorata e oggetto di esecuzione immobiliare, mediante l’istanza di rinegoziazione art. 40 ter può richiedere una rinegoziazione del mutuo alla banca e ottenere la sospensione della procedura esecutiva! Ed è proprio in questa ultima circostanza che si rivela la più grande novità prevista dalla legge che, sostituendo con l’art. 40 ter il precedente art. 41 bis, istituisce un fondo salva casa che realmente può fornire un’ancora di salvezza al consumatore.

A differenza infatti dell’art. 41 bis del decreto-legge n. 124 del 2019 che aveva introdotto una disciplina temporanea (mai applicata per la mancanza dei previsti decreti attuativi), il nuovo art. 40 ter fornisce al debitore un diritto alla rinegoziazione se sussistono determinati requisiti. Vi è quindi per il creditore un obbligo a contrarre la rinegoziazione del mutuo se vi sono tutti i requisiti, le condizioni e i presupposti previsti dalla norma. Il fondo salva casa garantisce parte del mutuo rinegoziato e, ecco una novità interessante, la rinegoziazione può essere proposta dal debitore a un prezzo pari al 75% del prezzo base d’asta dell’immobile. Non solo, ma la restituzione può essere dilazionata in un arco temporale non inferiore a 10 anni e non superiore a 30.

In altri termini se la tua casa, acquistata magari per 300 mila euro con un mutuo rimborsato per il 50%, è stata messa all’asta per 150 mila euro, puoi chiedere al creditore di rinegoziare un mutuo anche a 30 anni per un importo di 112.500 euro (75% di 150 mila) e quindi a un prezzo anche inferiore rispetto a quello stabilito al momento dell’acquisto. Inoltre una volta presentata la richiesta il debitore consumatore può, attraverso il proprio avvocato, depositare istanza di sospensione che il giudice dell’esecuzione agevolmente accoglierà in presenza dei requisiti normativi previsti dall’art. 40 ter, non essendo deputato a valutare il merito creditizio del richiedente. Ragion per cui, sebbene la norma riferisca che il giudice dell’esecuzione può sospendere la procedura e non è obbligato, tale potere è in realtà un potere-dovere, limitato alla verifica dei presupposti necessari per procedere a formulare l’istanza.

Inoltre, altra novità rispetto al precedente dettato legislativo, la norma recita che la sospensione viene concessa sentiti i creditori muniti di titolo esecutivo e quindi non richiede il loro consenso. Insomma nulla vieta a un giudice – pronunce al riguardo sono numerose – di concedere la rinegoziazione anche se la banca creditrice ha espresso parere sfavorevole. È senza dubbio uno strumento difensivo da sfruttare!

Ma siate tempestivi perché il termine ultimo per avvalersi della procedura è il 31 dicembre 2022. Non c’è tempo da perdere! Tutto così facile e bello? Esiste un presupposto che sicuramente ogni banca creditrice utilizzerà per ostacolare (ripetiamo, decide il giudice) il debitore a cogliere questa grandiosa opportunità. Tra i requisiti che l’istituto di credito deve valutare per esprimere parere favorevole alla rinegoziazione c’è anche la valutazione del merito creditizio che, come sappiamo, si basa su aspetti reddituali (analisi del bilancio/dichiarazione dei redditi) e di correttezza creditizia (analisi delle banche dati creditizie).

Questi due parametri, in una fase di grave crisi economica, sicuramente avranno prodotto qualche “macchia” nel curriculum vitae del debitore. Si stima che circa 16 milioni di italiani siano “segnalati” nelle banche dati creditrici (Centrale Rischi, Crif, Experian, ecc). Cosa rispondere alla banca che contesta un merito creditizio non adeguato?

Innanzitutto sembra logico per molti giudici (ma non per le banche), se il debitore non avesse vissuto un momento di disagio dovuto alla perdita del lavoro o comunque alla riduzione del proprio reddito, avrebbe continuato a rimborsare regolarmente il mutuo. Ragion per cui, anche considerando la facilità di finire nelle liste dei “cattivi pagatori” dal 1° gennaio, eventuali ulteriori morosità rinvenute nelle banche dati sono quasi …obbligatorie!

In secondo luogo, se la banca contesta invece il merito creditizio per insufficienza di reddito sarebbe opportuno sottolineare al giudice che il reddito attuale è uguale o addirittura superiore a quello, molto spesso falsificato o edulcorato con la consapevolezza dell’istituto di credito, analizzato al momento della concessione del primo mutuo. E ciò configura un illecito ancora più grave commesso all’epoca dell’acquisto dell’immobile: la concessione abusiva del credito. Ma di questo ne abbiamo già parlato su questo blog. Vi conviene, care banche, fare questa guerra?