Media & Regime

In caso di guerra, un disclaimer per i talk show

In questo post vorrei affrontare il tema dei talk show e dell’opportunità di invitare giornalisti che, apertamente o meno, sono schierati su posizioni filo-Putin. Anche se è difficile, vorrei fissare pochi punti su quel limite complesso che c’è tra propaganda e informazione.

Partiamo dalla classifica sulla libertà di stampa Paese per Paese che ogni anno diffonde Reporter senza frontiere: l’Italia quest’anno è al 58° posto. Ben lontana dalla numero uno Norvegia, ma anche dalla Germania, dalla Francia e dal Regno Unito, lontani persino dalla Spagna (32) e in compagnia di Grecia, Croazia e Polonia.

Dall’istituzione di questo indice, l’Italia non ha mai goduto di un buon posizionamento. Il report prende in considerazione vari parametri: pluralismo, indipendenza dei media, ambiente mediatico e auto-censura, contesto legale, trasparenza, qualità delle infrastrutture che supportano e producono le notizie.

Come mai non abbiamo mai superato il 35° posto? Forse perché abbiamo 3 canali statali controllati dai partiti? E altrettanti controllati da un solo editore, che insieme fanno quasi il 90% degli ascolti della tv generalista. La stampa non sta messa meglio: in mano a pochi imprenditori (poco puri) e con le mani in pasta in altri affari (industria, finanza, sanità o un mix di tutto questo). Aggiungiamoci che fare il cronista locale in alcune Regioni italiane è un mestiere rischioso ed eccoci servito il cinquantottesimo posto. A tutto questo aggiungerei un dato ancora più allarmante: in Italia si legge poco e appena il 13% della popolazione ha qualche forma di abbonamento a un quotidiano o a una rivista, da qui lo strapotere della televisione e la corsa per andare in tv dei vari esponenti politici.

Matteo Salvini ha costruito il suo consenso in tv, prima che sui social, è innegabile. Perché i politici vanno in tv? Perché fanno a gara per essere nei titoli dei Tg? Ovvio fanno propaganda. È il mezzo più semplice per farlo è essere in tv dalla mattina alla sera da un talk a un altro, partendo dall’errata convinzione che essere popolari significa automaticamente accrescere il consenso della propria parte politica.

Anche personaggi come Carlo Calenda e Pier Luigi Bersani devono la loro popolarità al presenzialismo in tv, ma le loro formazioni politiche stentano a superare i pochi punti di percentuale. Non c’è niente di scontato, niente di matematico. Persino Giuseppe Conte, già molto popolare nei mesi della pandemia, sembra non riuscire con le sue recenti apparizioni tv a far invertire la rotta del M5S verso l’oblio.

Stabilito che i talk show e nemmeno i tg, spesso persino trasmissioni più innocue, sono immuni dalla propaganda elettorale, perché dovrebbe essere impedito a un giornalista russo che lavora in una televisione russa di parlare?

Il 9 gennaio del 2021, dopo i fatti di Capitol Hill, condannai la scelta di Twitter di zittire Trump e ne sono ancora convinto. E spero che come primo atto Elon Musk gli restituisca l’account e i suoi follower. Negli Usa c’è Fox News che spara fake a raffica e su Twitter non può parlare Trump? Chi siamo noi per mettere il bavaglio a qualcuno?

Mi sentirei molto minacciato da un tribunale che stabilisca chi debba avere diritto alla parola e chi no. Facciamo parlare tutti, in un contesto però virtuoso. E’ il contesto che fa la differenza: Trump poteva twittare quello che voleva, ma un disclaimer avvertiva che le sue affermazioni “incitavano alla violenza” o “non erano verificate”. Rimaneva nell’interesse pubblico mostrarle e un folto numero di commentatori poteva rispondere liberamente alle sue panzane (cosa che non puoi fare quando guardi un telegiornale di Rai Uno o della Fox). Quindi nei talk show, se c’è qualcosa di deficitario, è proprio il contesto.

Gli italiani guardano i talk e si fanno opinioni ascoltando opinioni. Mi piacerebbe che si esponessero anche di più i fatti e per la prossima apparizione della giornalista di turno russa propongo un bel disclaimer, che elenchi tutti i 31 giornalisti uccisi in circostanze misteriose in Russia negli ultimi 23 anni durante il regno di Putin.