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Ucraina, l’Ue rinuncia al ruolo di mediatore: andiamo verso un futuro incerto e pericoloso

di Federico La Mattina

La storia non è finita nel 1989 e gli eventi traumatici degli ultimi due mesi hanno segnato una svolta importante, probabilmente epocale, nel ventunesimo secolo. Una guerra (per procura nel caso americano) tra grandi potenze nel territorio europeo non mette le lancette all’indietro verso il recente passato della Guerra Fredda ma segna la transizione verso un futuro incerto e pericoloso.

In guerra la propaganda abbonda da tutte le parti. Credere che la seconda potenza militare mondiale si imbarchi in una guerra del genere, potenzialmente espandibile in un conflitto su larga scala, soltanto per “salvare il Donbass” o per “denazificare” significa evidentemente credere alle favole. D’altra parte credere che esista uno scontro ideologico tra “democrazie” e “autocrazie” o credere a chi dice che la Russia stia pianificando di invadere altri paesi è parimenti insensato. Che ci sia una forte propaganda russa è fuori discussione; ciò che invece dalle nostre parti non si vuole sentire dire è che esiste una altrettanto forte propaganda della Nato, riflesso della propaganda statunitense.

Gli Stati Uniti, vincitori solitari della Guerra Fredda, hanno deciso di umiliare la Russia post-sovietica mettendola sotto pressione con una progressiva espansione della Nato anziché renderla partecipe di una cogestione degli affari globali; ciò ha fomentato un revisionismo geopolitico russo (colorato da una retorica nazional-imperiale grande-russa) e il 24 febbraio, con l’invasione su vasta scala dell’Ucraina, la Russia ha messo da parte un certo pragmatismo realista in seguito a una probabile vittoria dei falchi interni.

Una guerra che coinvolge paesi quali la Russia e gli Usa va inserita all’interno di un quadro più ampio caratterizzante la politica tra potenze (sotto questo aspetto faccio mia una prospettiva strutturale di tipo realista). Questo però non sminuisce la responsabilità dell’invasione, che ricade certamente sulla Russia; al pari delle precedenti guerre americane, una su tutte quella contro l’Iraq, anche in questo caso i pretesti umanitari alla base dell’invasione russa sono funzionali a logiche di tipo geopolitico e strategico. L’invasione dell’Ucraina è indubbiamente da condannare, tuttavia i paesi occidentali hanno avuto delle gravi responsabilità nell’avere ignorato i segnali di Mosca sulle “linee rosse”.

I paesi europei hanno rinunciato a svolgere un ruolo di mediazione all’interno del conflitto seguendo a ruota gli Stati Uniti che, arroccati al sicuro oltreoceano, possono permettersi lo scontro frontale con Mosca. Peraltro gli Stati Uniti stanno conducendo una guerra per procura in Ucraina e, poco favorevoli a una celere risoluzione del conflitto, sarebbero ben lieti di godersi lo spettacolo di un impantanamento russo che avrebbe costi umani altissimi: prospettiva auspicata dagli strateghi statunitensi, quantunque inconfessabile poiché incompatibile con la retorica liberale che ha spesso mascherato le politiche di potenza americane. La scelta di diversi paesi europei di armare pesantemente l’Ucraina si inserisce pienamente in questa prospettiva, contribuendo a un’intensificazione e a un allungamento del conflitto.

Noi europei abbiamo delegato il ruolo di mediatore a un paese – la Turchia – che non è certamente una democrazia liberale. Ancora una volta: siamo sicuri che le democrazie puntino in linea di principio alla pace? L’importante mediazione turca contraddice tale assunto ideologico, figlio di una lettura di scuola liberale delle relazioni internazionali. Difendere la pace significa inevitabilmente spingere per una soluzione diplomatica. Continuiamo a camminare sull’orlo del baratro eppure molti in Europa, impegnati in casa a scovare giornalmente un nuovo nemico interno “filo-putiniano”, preferiscono soffiare sul fuoco della guerra.

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