Giustizia & Impunità

Riforma Csm, ok di Cartabia all’emendamento anti-bavaglio. Ma il Pd (che l’ha proposto) ora fa dietrofront: “Pronti a ritirarlo se è divisivo”

La Guardasigilli ha dato l'ok (previa riformulazione) al subemendamento dem volto a sopprimere in parte la norma che sottopone a sanzioni disciplinari i pm che "parlano troppo" con la stampa. Alla proposta di modifica si è associato il Movimento 5 Stelle, ma il firmatario (il capogruppo Pd Bazoli) ci ha già ripensato: "Non vogliamo impuntarci su temi divisivi, non faremo una battaglia su questo emendamento. Se ci verrà chiesto lo ritireremo"

La ministra Marta Cartabia ha dato il via libera: il governo sarebbe disposto a ritirare (almeno in parte) la norma che introduce un nuovo illecito disciplinare per i pm che non si adeguano al decreto sulla “presunzione d’innocenza” nei rapporti con la stampa. Ma il Pd – lo stesso partito che aveva proposto la modifica – ha fatto subito marcia indietro: “Su questo non faremo battaglie, se il nostro subemendamento è divisivo lo ritiriamo“. Così il nuovo bavaglio rischia di passare senza che nessuno provi nemmeno a opporsi in Parlamento. È quanto emerge dalla riunione di martedì (la seconda in poche ore) tra la Guardasigilli e i capigruppo di maggioranza in Commissione Giustizia alla Camera, dove giace il ddl di riforma del Consiglio superiore dalla magistratura e della legge sull’ordinamento giudiziario. Tra le centinaia di pagine, il testo approvato a febbraio dal Consiglio dei ministri contiene anche una previsione che sottoporrà a sanzioni disciplinari (dall’ammonimento fino alla radiazione) il procuratore capo che a insindacabile parere del ministro della Giustizia convocherà una conferenza stampa o emetterà un comunicato senza le “specifiche ragioni di interesse pubblicocitate dal decreto entrato in vigore a dicembre, o non rispetterà – sempre secondo il ministro – “il diritto della persona sottoposta a indagini e dell’imputato a non essere indicati come colpevoli“.

Sulla disposizione ha lanciato l’allarme lo stesso Csm, che nel parere sul progetto di riforma – accogliendo una proposta dei consiglieri di Area – ha sottolineato che in questo modo “si rischia da un lato di impedire qualsiasi comunicazione o informazione sui procedimenti penali (…) e dall’altro si attribuisce al titolare dell’azione disciplinare (cioè il ministro, ndr) un potere di controllo e condizionamento amplissimo sui procuratori della Repubblica e su tutti i magistrati del pubblico ministero”. Un pericolo che si potrebbe (in parte) scongiurare approvando un subemendamento al ddl, a prima firma Alfredo Bazoli (Pd), che esclude dalla rilevanza disciplinare tutti i casi in cui il tema sia la sussistenza o meno del “pubblico interesse”. Un’iniziativa sottoscritta anche dal Movimento 5 Stelle – con il capogruppo in Commissione Eugenio Saitta – e su cui la Guardasigilli ha dato l’ok, proponendo una riformulazione secondo cui l’azione disciplinare resta possibile solo quando c’è un’effettiva lesione del diritto alla presunzione d’innocenza (e non solo quando il pm, secondo il governo, “parla troppo”). Trovando però l’opposizione compatta del centrodestra, contrario a qualsiasi allentamento del bavaglio: “Il Pd lavora per indebolire la legge sulla presunzione d’innocenza. Il loro emendamento alla riforma del Csm, fa resuscitare il processo mediatico le conferenze stampa e le interviste ai Pm. Se la ministra Cartabia cede, rovina tutto”, twitta indignato il deputato di Azione Enrico Costa, “padre spirituale” del decreto.

La ministra in qualche modo ha pure “ceduto”, ma il subemendamento, con i soli voti di PD e 5S, non avrebbe comunque i numeri per passare in Commissione. Però Bazoli, contattato dal fattoquotidiano.it, fa sapere di non volerci nemmeno provare: “Accettiamo la riformulazione chiesta dalla ministra, ma non solo: se ci verrà chiesto, siamo disposti a ritirare la proposta. Per noi l’importante è che la legge passi il prima possibile, non vogliamo impuntarci su temi divisivi. Questo è solo uno dei tanti subemendamenti che abbiamo depositato, non abbiamo intenzione di farci su una battaglia”. Con queste premesse, quindi, è probabile che sul tema non si arriverà nemmeno al voto.

Durante la riunione di martedì, Cartabia ha espresso “dubbi di costituzionalità” sui subemendamenti che vorrebbero introdurre il sorteggio temperato nell’elezione dei membri laici o la responsabilità civile diretta delle toghe. Apertura al dialogo invece sulle porte girevoli politica/magistratura, per ridurre – come chiesto dal Pd – il “periodo di raffreddamento” (tre anni dalla cessazione dell’incarico) in cui è previsto il divieto di riprendere le funzioni per i magistrati che hanno ricoperto ruoli tecnici apicali nei ministeri. Se il parere del governo arriverà in tempo, mercoledì si inizieranno a votare le proposte su cui c’è convergenza tra i partiti: la ministra ha chiesto l’impegno a garantire che il testo approvato dalla Camera (l’arrivo in Aula è fissato all’11 aprile) passerà senza modifiche al Senato, in modo da evitare una dilatazione eccessiva di tempi già stretti. La riforma, infatti – ha ribadito il ministro per i Rapporti con il Parlamento Federico d’Incà – deve diventare legge in tempo utile per il rinnovo del Csm, in programma tra giugno e luglio, così da non votare con il vecchio sistema elettorale accusato di aver favorito le spartizioni tra correnti. Cartabia ha aperto a riformulazioni della proposta del governo – un sistema binominale maggioritario con correttivo propozionale – ma escludendo “ipotesi incostituzionali” come (secondo lei) è quella del sorteggio temperato, cioè dell’estrazione di un multiplo dei candidati da eleggere.