Società

Crisanti e la villa del ‘600: perché credo che sia denaro speso male – Con risposta di P. Gomez

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La questione è delicata, ma cruciale. Non un problema morale, ma etico, cioè di comportamenti individuali e collettivi; riguarda l’uso del denaro, certo libero, ma in grado di condizionare la vita di tutti, non solo di chi lo possiede. Non è una questione di leggi o di legittimità, ma di opportunità, di utilità individuale e collettiva, di mentalità. La libertà non è in discussione, però bisogna sapere che le strade dei comportamenti individuali possono condurci alla ricchezza come alla povertà. Il fallimento di Lehman Brothers, l’avidità dei finanzieri sono forse legittimi, ma alla fine producono un danno all’intera società. Per questo non chiediamo leggi, chiediamo coscienze che riflettano, esempi virtuosi che aiutino. Esempi che mancano nella vicenda dell’acquisto da parte del microbiologo prof. Crisanti di una villa veneta del ‘600. Per come è stata trattata, il solito pettegolezzo inconcludente, in realtà ha un significato che va oltre l’episodio singolo. Ma cosa è accaduto?

Il professor Crisanti ha dichiarato ai giornali di aver finalmente coronato il sogno della sua vita e di essersi comperato una villa veneta del 1600 per la cifra (per l’immobile relativamente modesta) di circa due milioni di euro. Al putiferio mediatico ha replicato rivendicando il suo diritto di coronare il sogno di una vita con guadagni assolutamente leciti, ma in cambio ha ricevuto le critiche di molti che hanno maliziosamente legato il protagonismo televisivo e pubblico al denaro necessario per l’acquisto. Ha ricevuto poi anche la solidarietà di molti altri, tra cui quella del collega Roberto Burioni, che – significativamente – ha voluto precisare che “i soldi onesti solo in Italia sono una colpa”.

Lasciamo stare la vicenda singola e parliamo in generale di consumi. Cerchiamo di capire cosa è da un punto di vista economico una “villa veneta”, certo non un’abitazione adatta ai nostri tempi. Queste furono costruite a partire dal XV secolo, in particolare in anni in cui i nobili, soprattutto i patrizi veneziani, avendo accumulato straordinarie fortune con le attività mercantili, a un certo punto per quieto vivere decisero di investire una parte delle loro immense fortune nell’acquisto di terreni agricoli, che essi adornavano poi di splendide residenze. Risultato, le ville esistevano ed esistono solo nell’ambito di fondi agricoli, in grado di generare rendite superiori ai costi di gestione delle ville medesime. Nessuno può permettersi di abitare queste magnifiche strutture se non dispone di un flusso di denaro continuo. Questi palazzi, se si mantengono, si mantengono o con gli aiuti pubblici, o con una serie di attività collaterali (eventi, matrimoni, affitti vari) improprie rispetto ai fini per i quali furono costruite.

La villa veneta non è quindi un problema di acquisto, ma di gestione. Oggi l’acquisto (non il possesso) di una villa del genere, da un punto di vista economico-gestionale, è uno spreco, un controsenso economico. Non può soddisfare un reale bisogno abitativo ancorché lussuoso ed è un peso economico eccessivo per chiunque, anche se molto benestante. Basterebbe pensare solo alla manodopera che serve per tenerle in attività, manodopera che nel ‘500 aveva costi trascurabili e oggi al contrario è carissima. L’acquisto di una villa veneta sembra quindi più che altro rispondere solo all’esigenza di apparire ricchi. Una debolezza già vista e comprensibile, contro la quale molti imprenditori divenuti ricchi hanno già finito per sbatterci il muso. In sintesi è un luxurious waste nemmeno del tutto innocente, perché se diffuso e condiviso, anche solo moralmente, genera squilibri economici gravi e situazioni di mercato assolutamente inefficienti (quando i comportamenti dei soggetti sono irrazionali, la produzione e i prezzi gli vanno dietro).

Lo spreco lussuoso purtroppo è solo la prima faccia della medaglia di un paese arretrato. Dall’altra ci sta il disprezzo incondizionato per l’accumulazione dei capitali, per la diffusa convinzione che essa vada di pari passo con la prevaricazione, il privilegio, se non la frode e il furto. Lo spreco lussuoso frena così l’accumulazione di capitale virtuosa e diventa il simbolo della perdurante povertà collettiva. Mentre i ricchi-spreconi-non ricchi desiderano apparire ricchi, gli altri sono convinti che la ricchezza non sia un valore positivo. La ricchezza priva di ogni contenuto morale ed etico è quindi, giustamente, disprezzata. Questo il quadretto italiano, in cui purtroppo affondano anche molti uomini “colti”, anche persone educate nelle migliori scuole e università, perfino quelle che hanno letto Seneca.

Pecunia si uti scis ancilla, si nescis domina, recitava un motto molto in uso una volta anche nell’ambito degli istituti di credito. Il denaro, la ricchezza sono tali solo se servono a qualcosa di concreto, se sono strumenti al servizio dell’uomo, non dei fini. Il denaro speso male forse non è un peccato ma è una forma di ignoranza che trasforma l’individualismo in un danno per la crescita collettiva, allo stesso modo in cui, per esempio, l’individualismo di chi rifiuta le vaccinazioni non aiuta il benessere generale. Eppure, non mancano tra gli imprenditori molti grandi positivi esempi nell’uso del denaro. Gente che ha usato il proprio denaro anche per il benessere della società, fondato sul lavoro lecito e l’auto-controllo dell’individualismo. Ognuno è libero di utilizzare i propri soldi come crede, ma resta che il consumo lussuoso, individualistico e sprecone, condanna il paese a non progredire.

(Per gli amanti della teoria economica la prossima volta proveremo a spiegare questo concetto non con San Tommaso, ma con la teoria austriaca del capitale).

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Caro Noto,
Qui tutti troviamo il tuo ragionamento surreale. Crisanti ha guadagnato onestamente il suo denaro. Se è in grado di acquistare e mantenere una proprietà come una villa storica c’è solo da gioirne perché l’edificio sarà conservato e manutenuto. Non capiamo poi cosa vi sia di male nel concedersi qualche lusso se, dopo aver pagato le tasse, ce lo si può permettere. Il lusso crea posti di lavoro, aumenta il benessere di chi se ne occupa professionalmente e anche la capacità di spesa dei lavoratori del settore. Con evidenti ricadute positive sulla società.

Anche dal punto di vista etico e morale non comprendiamo il problema: qui non siamo di fronte a un pescecane della finanza, ma a un professionista di valore che tanto ha aiutato il Veneto durante la pandemia.

Pubblichiamo ovviamente il tuo post perché pensiamo che ogni opinione abbia diritto di essere espressa, ma in questo caso ci sentiamo in dovere di dirti che non la condividiamo.

Un saluto affettuoso,
Peter Gomez

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