Politica

Coronavirus, quello che la pandemia ci ha insegnato sulla classe politica

La crisi pandemica ci ha messo di fronte ad un’intersezione di dilemmi e scelte politiche che oggi sembrano ostacoli insormontabili ma che, messi nella giusta prospettiva, costituiscono un tesoro di assoluto valore per riflettere su come la nostra classe politica dovrebbe essere rappresentativa dei differenti settori della società.

Raramente nella storia abbiamo assistito ad una pressione costante sui decision-makers per adottare delle decisioni difficili – e spesso impopolari, a prescindere – dovendo tenere conto di istanze così divergenti, se non addirittura contrastanti. I governi dei vari paesi che stanno adottando misure così incongruenti tra di loro per ridare linfa vitale ai loro paesi devono infatti considerare almeno quattro grandi temi: 1) la protezione della salute pubblica, che è un valore primario ed irrinunciabile; 2) la sopravvivenza economica delle persone e della società in generale, che è alla base dello sviluppo di ogni paese; 3) il rispetto della libertà individuale, per cui ognuno di noi reclama il diritto di disporre del proprio corpo in maniera autonoma senza doversi sottoporre a misure coercitive; 4) la discussione sulla legittimità di un trade off tra la rinuncia ad alcune libertà individuali in favore del bene collettivo, che sta alla base di ogni sistema di convivenza civile.

Sono temi profondissimi, che guidano il dibattito su lockdown o no, green pass o no, vaccinazione obbligatoria o no: nessuno di loro sembra avere diritto assoluto di cittadinanza senza andare a ledere in maniera irreversibile altri temi, di pari importanza e dignità.

Se un governo decidesse di obbligare l’intera popolazione a vaccinarsi, darebbe piena priorità ai temi 1, 2 e 4, ma andrebbe contro il tema 3 che è considerato uno dei valori fondamentali di ogni democrazia. Ogni volta che un governo decreta il lockdown, lo fa in nome del tema 1, ma viola in maniera palese i temi 2 e 3.

Cosa ci insegna tutto questo? Parto da lontano. Vivo in Australia, un paese dove il dibattito politico verte generalmente su temi molto concreti, quasi utilitaristici, con un focus dominante sul benessere economico del paese e dei suoi cittadini ed il bilancio import/export. Per storia, tradizione e cultura, il dibattito filosofico, antropologico e sociologico non è così ricco come in Italia e la rappresentazione politica in Parlamento è in gran parte ispirata non alla difesa di ideali e valori, ma si concentra principalmente sul tema di un’amministrazione solida, che risponda alle esigenze dei cittadini in maniera, pratica e concreta.

Diciamo che il Primo Ministro qui è l’equivalente di un Sindaco della nazione, per intenderci, piuttosto che un leader politico che ispiri e conduca il paese verso nuovi orizzonti. Il che, in linea di massima, va anche bene. In generale siamo soddisfatti di come si comporta il governo (indipendentemente dal colore politico) in quanto sovente si occupa di temi molto concreti che mostrano un impatto immediato sulla vita delle persone (infrastrutture, servizi sociali, sostegno economico etc…). Ma quando l’agone politico si innalza verso temi più profondi ed elevati, emerge tutta la differenza di tradizione politica con la Vecchia Europa.

In passato sono stato un convinto sostenitore dei governi tecnici: metti un dirigente sanitario come ministro della Salute, un avvocato o giudice come ministro della Giustizia ed hai risolto tutto. Oggi, alla luce di quanto successo negli ultimi due anni, mi sono reso conto che per avere un buon governo occorrono sicuramente competenze ed esperienze tecniche, ma ci vuole anche una sensibilità filosofica, antropologica e sociologica che guidi le scelte di governo, considerando quanto tali scelte impattino sui valori ed i diritti fondamentali di coloro che – in un certo senso – vanno considerati gli azionisti ed allo stesso tempo i clienti del governo: i cittadini.

Altrimenti il rischio è che si instauri la dittatura di tecnocrati ed esperti, che capiscono le tecnicalità dei problemi ma sovente mancano di una visione d’insieme per cui si valutano tutte le istanze e si decide, in maniera olistica, considerando i pro e contro, tenendo sempre sullo sfondo le carte dei diritti fondamentali (Costituzioni e Convenzioni Internazionali) che regolano il governo del paese.