Musica

Giuseppe Sinopoli, il direttore d’orchestra italiano che piaceva ai tedeschi

Vent’anni fa un infarto stroncò sul palco della Deutsche Oper di Berlino, durante il terzo atto di Aida, Giuseppe Sinopoli a soli 55 anni. Il grande direttore era oramai celebrato in Germania come autorevolissimo, in Italia il rapporto era faticoso ma al di là delle conventicole e delle parrocchie, sempre così italiche, Sinopoli aveva un folto manipolo di seguaci e ammiratori. È stato sicuramente il più “teutonico” dei nostri direttori, dedito al repertorio tedesco come pochissimi italiani e con un’aria davvero poco “italica”.

È stato uomo poliedrico, laureato in Antrolopologia criminale e studi di Medicina, morto a pochi giorni dalla seconda laurea in Archeologia, aveva fatto della diade Wagner-Mahler il perno della sua estetica musicale. In conservatorio a Venezia aveva studiato con Bruno Maderna, ma in Franco Donatoni aveva avuto la sua vera guida, innanzitutto per la composizione. Fino al 1981 Sinopoli è stato soprattutto questo: un compositore che eseguiva opere sue e di autori contemporanei, poi si è volto alla direzione in maniera totalizzante e l’esplorazione del repertorio austro-tedesco divenne il suo territorio d’elezione. Ma non certo l’unico, basti pensare alle sue straordinarie interpretazioni verdiane e pucciniane: per aggiungere subito che quelle sue predilezioni non erano certamente esclusive o limitanti, Sinopoli è rimasto fino alla fine un intellettuale onnivoro e curioso.

Il rapporto con le orchestre fu variegato, prima venne l’amore “infelice” con la Philarmonia Orchestra, da cui pure arrivò quel meraviglioso bouquet di fiori che è la sua integrale mahleriana, riflessione assai densa: degno contraltare dello sfinimento tensivo di Bernstein, il Mahler di Sinopoli rimane asciutto, analitico senza perdere di passione. Poi è venuto il matrimonio stabile e ricco di soddisfazioni con la Staatskapelle di Dresda negli ultimi dieci anni di vita e attività.

Con la straordinaria orchestra tedesca (“acqua d’oro” come la ebbe a chiamare Wagner) aveva iniziato uno scavo del sinfonismo bruckneriano con esiti davvero importanti, basti pensare alla intensissima Ottava che rimane stabile tra le più memorabili consegnate al disco. Ma pietre miliari sono anche le interpretazioni straussiane: Ein Alpensinfonie ad esempio, indagata fin nei più riposti recessi, più attento alle trame interne e alla ricchissima polifonia, e alla mirabile timbrica, più che alle esplosioni telluriche che pure poteva facilmente richiedere all’orchestra più straussiana del mondo. Ovviamente meriterebbe una più sostanziosa disamina anche lo Strauss operista: Die Frau ohne Schatten solo per nominare la più acuminata ma mirabili anche Elektra e Ariadne auf Naxos.

E ovviamente poi il repertorio italiano, Giuseppe Verdi innanzitutto: un Nabucco da antologia con Cappuccilli a dominare il pur ragguardevole cast (Placido Domingo non al suo massimo, ma comunque apprezzabile e Ghena Dimitrova non la migliore delle Abigaille in disco ma pur sempre assai contrastata e potente) ma anche Rigoletto e Macbeth con un intenso sebbene un po’ appannato Renato Bruson. E poi Giacomo Puccini: meraviglioso tris di Butterfly, Manon e Tosca con Mirella Freni all’acme della sua sapienza vocale e artistica e ragguardevoli partner come Domingo e Carreras.

Resta poi il capitolo più incompiuto e quello su cui Sinopoli avrebbe dato più contributi, probabilmente, se i superni avessero dato più tempo al direttore, naturalmente: Wagner. Dell’Incantatore ci restano un Tannhäuser in disco, cavalleresco e assai fresco con Domingo ideale interprete della parte, un’Olandese volante assai interessante ma con interpreti vocali al di sotto del valore della bacchetta, l’attesa maggiore è per ciò che ancora non abbiamo, ovvero che vengano resi pubblici i contributi al Festival di Bayreuth, i preziosi live della Tetralogia. Per ora un meraviglioso Parsifal è emerso, vedremo se il tempo galantuomo ci regalerà altro.

Perché partendo dalla riflessione sulla svolta secolare di fine Ottocento, l’Austria Eterna della Sezession, Mahler in testa ma anche Zemlinsky e Richard Strauss, Sinopoli stava tornando al padre di tutte le rivoluzioni novecentesche, salendo sulla magica collina di Bayreuth. Il fato ha dettato diversamente ma tanto di quella riflessione ci rimane consegnato in dischi memorabili, alcuni diventati introvabili, specie quelli del Novecento più sperimentale da Maderna a Bussotti. Speriamo che la Deutsche Grammophon sappia mettere a disposizione le incisioni di Sinopoli, magari riunendole per non disperdere un patrimonio che appartiene alla migliore cultura musicale italiana e del mondo.