Un anno fa, con il lockdown, le Caritas diocesane sono state travolte dalle richieste di aiuti alimentari. Poi nei centri di ascolto di Milano, Genova, Torino, Treviso, Roma, Napoli e Palermo sono arrivate persone che mai avrebbero pensato di non farcela da sole: la classe media che con la pandemia è finita gambe all'aria. E le necessità sono cambiate. Così è un nato un welfare parallelo a quello statale che comprende progetti di riqualificazione professionale, tirocini, finanziamento di piccoli progetti di lavoro autonomo
“In estate le richieste sono state addirittura meno rispetto agli anni passati. Ci siamo detti: è la quiete prima della tempesta. E così è stato”. Perché a Treviso, racconta il direttore della Caritas Don Davide Schiavon, la seconda ondata ha portato con sé un nuovo aumento del 30% delle persone in difficoltà. Dopo l’esplosione iniziale delle richieste di aiuto alimentare – “nel marzo 2020 abbiamo visto un raddoppio in pochi giorni” – a settembre la grande diocesi trevigiana, che conta 900mila abitanti in quattro province, è stata travolta da bisogni molto più “pesanti” dal punto di vista economico. Anche in questo caso il pagamento di affitti, utenze, spese sanitarie, tablet per seguire le lezioni da casa. Se un anno fa i pacchi alimentari sono andati a tante partite Iva e lavoratori irregolari ma anche categorie particolari come “giostrai e personale dei circhi, senza lavoro e reduci dal periodo di stop invernale”, come in un domino la crisi ha coinvolto poi l’indotto del settore turistico, gli artigiani, le pmi. Una settimana fa il vescovo ha lanciato un nuovo Fondo di comunità per le famiglie, “per non farle scivolare sotto la soglia di povertà” (previsto un contributo fino a 3mila euro) e un microcredito per le imprese che, in collaborazione con Banca Etica, offre prestiti fino a 25mila euro da restituire in 72 mesi.