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Scuole e Covid, le scelte in Europa: dal ritorno in classe nel Regno Unito alla chiusura di asili ed elementari in Ungheria

La Francia dà il via libera ai test salivari nelle scuole per favorire il tracciamento di focolai e continuare a mantenere le scuole aperte, mentre in Spagna soltanto la città di Vitoria nei Paesi baschi ha dovuto chiudere tutti gli istituti. Ecco cosa succede nelle scuole dei principali Paesi Ue

In Germania la data di riapertura è affidata agli Stati regionali, mentre in Spagna l’unica città che ha deciso di chiudere tutte le scuole è nei Paesi Baschi. Il Regno Unito invece, che procede speditamente nella campagna di vaccinazione, ha deciso di riaprire le scuole l’8 marzo, mentre la Francia dopo il primo lockdown della primavera 2020 non le ha mai chiuse. Ecco come si stanno muovendo i Paesi europei nei giorni in cui in Italia milioni di studenti tornano in didattica a distanza.

Germania La situazione non è uniforme e varia a seconda delle decisioni dei singoli Laender, ovvero degli stati regionali. La ministra dell’Istruzione Britta Ernst ha dichiarato che il ritorno in classe di tutti gli studenti dovrebbe essere possibile entro marzo, anche col mantenimento a giorni alternati della didattica da casa per mantenere il distanziamento tra i ragazzi. Dal 22 febbraio a oggi hanno fatto rientro in classe i bambini delle elementari in oltre la metà dei 16 Laender, mentre asili e asili nido sono stati riaperti in tutta la Germania. Per quanto invece riguarda le scuole superiori, le lezioni in presenza riprenderanno questa settimana in alcune regioni, in altre a partire dalla prossima. La didattica a distanza, comunque, è una soluzione tuttora praticata in alcune aree del Paese.

Regno Unito – Dopo quasi tre mesi di didattica a distanza, le scuole hanno riaperto l’8 marzo. Il piano del governo britannico è di effettuare un costante monitoraggio di eventuali focolai – anche a livello famigliare – con l’invio dei test proprio ai famigliari dei ragazzi due volte a settimana. L’obiettivo è infatti quello di rilevare rapidamente e isolare i casi asintomatici per evitare di dovere mettere in quarantena interi istituti. Il governo ha quindi distribuito circa 57 milioni di kit di test rapidi nelle scuole, ma ci sono dubbi sulla precisione dei test. La ripresa delle lezioni in classe – “un grande giorno carico di emozione”, nelle parole del premier Boris Johnson – è stata possibile grazie alla brusca frenata di nuovi contagi e decessi e al piano vaccinale che procede a ritmo serrato, in un Paese che registra numeri di contagi e decessi in calo e quasi 24 milioni di dosi di vaccino somministrate. Quello odierno non è il primo ritorno a scuola dall’inizio della pandemia, che aveva imposto la sospensione della didattica in aula già la scorsa primavera nel Regno con conseguenze negative sui più giovani, non solo a livello didattico ma anche psico-sociale. “Secondo la nostra ricerca gli studenti sono in media due o tre mesi indietro nell’apprendimento. Nel caso dei ragazzi di famiglie indigenti il ritardo, però, è più grave”, ha dichiarato all’Ansa Natalie Perera, direttrice dell’Education Policy institute.

Francia – Le scuole restano aperte in Francia, dove gli studenti sono tornati sui banchi dopo le vacanze di febbraio, differenziate a seconda dei dipartimenti. A inizio marzo il ministro dell’Istruzione, Jean-Michel Blanquer, ha annunciato la chiamata di 1.700 studenti “di medicina, farmacia o in altri settori” per aiutare il personale medico ed effettuare i test salivari nelle scuole. Sono stati messi a punto a febbraio: non danno un risultato rapido (disponibile entro 12-24 ore), poiché sono analizzati con la tecnica Pcr dei molecolari, ma potranno evitare il prelievo naso-faringeo. I test salivari rientrano nella strategia del governo, che vuole a tutti i costi tenere le scuole aperte aumentando il monitoraggio della variante inglese e implementando misure più rigorose. Sin dal 13 aprile Macron aveva annunciato l’intenzione di volere riaprire scuole e nidi a maggio, con gli studenti in presenza obbligatoria da giugno. E così è tuttora, nonostante da gennaio i casi siano aumentati (e sia aggirino intorno ai 20mila al giorno). La politica del governo di tenere le scuole aperte ha inoltre l’obiettivo di tutelare i genitori che lavorano e in particolare le donne, costrette in molti paesi a causa della pandemia a dovere scegliere tra lavoro e cura della famiglia.

Spagna – Le scuole restano aperte, con casi di chiusura e di ritorno alla didattica a distanza legati agli istituti nei quali si registrano contagi. L’unica città che ha deciso di chiudere tutte le scuole – dai nidi all’università – è Vitoria nei Paesi Baschi, che ferma le lezioni in presenza dal 10 al 23 marzo. Intanto l’8 marzo il Ministero della Sanità ha comunicato che l’indice dei contagi nazionale è ancora sceso: l’incidenza cumulativa degli ultimi 14 giorni è di 142 casi positivi ogni 100mila persone, mentre venerdì 5 – quando i dati erano stati aggiornati per l’ultima volta – era di 149 casi. Fernando Simón, responsabile nazionale delle emergenze sanitarie, ha aggiunto però che il ritmo di discesa è in rallentamento: “La situazione attuale è di una propagazione del virus molto più controllata rispetto a qualche settimana fa, ma c’è ancora un alto rischio che la trasmissibilità torni ad aumentare”.

Ungheria – Dall’8 marzo Budapest ha imposto nuove rigide misure di lockdown per rallentare l’ondata record di ricoveri e decessi per il coronavirus, che secondo gli esperti sono trainati dalla diffusione delle varianti. Il rapido peggioramento dei dati da inizio febbraio ha spinto il governo ad annunciare nuove restrizioni, compresa la chiusura per due settimane della maggior parte dei negozi e degli asili, e fino al 7 aprile delle scuole primarie. Le scuole superiori fanno lezioni a distanza da novembre e bar, ristoranti e palestre sono chiusi da allora. Il premier Viktor Orban ha avvertito che gli sforzi degli ospedali supereranno presto qualsiasi livello mai raggiunto durante la pandemia e ha affermato che non imporre restrizioni più dure adesso risulterebbe in una “tragedia”. Anche i decessi sono aumentati in modo consistente: con circa 16mila morti confermati in un Paese di poco meno di 10 milioni di abitanti, l’Ungheria ha l’8° peggior tasso di mortalità al mondo ogni milione di abitanti, stando ai dati della John Hopkins University. È atteso anche che il numero di pazienti con Covid-19 ricoverati superi martedì il precedente record.