Politica

Conte voltagabbana? No, leader post-ideologico. Ma c’è chi non afferra

Come una nemesi, forte di uno straordinario consenso popolare, la replica alle Camere di Giuseppe Conte si è abbattuta anche sul secondo dei Mattei; entrambi ebbri di se stessi e impiccati al cappio della loro estraniante io-mania.

Ora gli spregiatori del premier, reo di non fornire dritte sottobanco al plutocrate di turno per speculazioni borsistiche su qualche banca veneta (e ogni riferimento alla liaison Renzi-De Benedetti non è puramente casuale), scatenano i loro corifei a mezzo stampa e social per l’ultima mossa di delegittimazione: l’accusa di essere un voltagabbana, avendo presieduto due governi di colorazione differente; giallo-verde e giallo-rosa. Addebito da restare basiti, ascoltandolo da spudorati Fregoli del cambio di casacca. Troppo pretendere che questi assatanati dal miraggio dei miliardi attesi da Bruxelles intuiscano, seppur vagamente, che Conte è un leader post-ideologico? Dunque, estraneo al pensiero unico partitocratico basato su tassonomie politiche ottocentesche, a giustificazione della vera idea dominante nel ceto politico bipartisan: tutelare i propri privilegi di Casta.

Sicché si rivela puramente strumentale imputargli come opportunismo l’aver presieduto prima un governo con la Lega, poi con il Pd.

Il post-ideologico Conte entra in politica come professionista incaricato di mediare tra i due committenti – Salvini e Di Maio – poi inizia a giocare in proprio con la nuova compagine. Ma sempre manifestando estraneità nei confronti del contesto in cui si muove. Forse l’unico tratto riconoscibile di vecchia politica è una certa patina morotea derivata da affinità ambientale, la comune origine pugliese.

In fondo, dopo tanto auspicare il superamento del professionismo in politica (Flores d’Arcais si augura da anni l’apparire del bricoleur, inteso come esempio di saggio dilettantismo nel governo della cosa pubblica), il prepolitico Conte dovrebbe fare al caso nostro. Così come dovrebbe essere apprezzato il tentativo di tenere a bada le voracità dell’establishment e le inerzie di una burocrazia che antepone le procedure al problem solving, attraverso soluzioni a task.

E invece gli asserragliati nel Palazzo si agitano per impastoiare l’homo novus, che mette a repentaglio incistati modelli di pensiero, prima ancora che i loro interessi di bottega, reclamando a gran voce l’arrivo semplificatore dell’uomo della provvidenza; il salvatore della patria, cui affidare il bastone del comando, con l’espressione blasé del banchiere Goldman Sachs Mario Draghi, dietro al quale strisciano un po’ di personaggetti del generone romano. One man show al posto del presunto accentratore Conte!

E queste punture di spillo cominciano a produrre i primi effetti; perché, nei suoi discorsi alle Camere, Conte appariva palesemente stanco. Tanto che tali interventi sono suonati privi di quell’afflato epico, di quella capacità mobilitante che il momento richiederebbe. Tanto che sono apparsi i limiti della novità rappresentata da lui stesso: instancabile mediatore, che riesce a tenere assieme il carro di Tespi del governo, formidabile ambasciatore dell’Italia in quel di Bruxelles. Non un costruttore, un suscitatore di energie collettive in una ritrovata epopea di rinascita. Come l’insipida esperienza degli Stati Generali di luglio e la loro insignificante conclusione hanno sufficientemente dimostrato. Purtroppo.

D’altro canto il nostro è un uomo di legge, non un economista dello sviluppo o un architetto di coalizioni che implementino scenari di specializzazioni competitive. Tutte competenze che non sono nelle corde del Nostro. Magari tenesse di più all’orecchio esperti del nuovo paradigma tecno-economico (Mariana Mazzucato? Fabrizio Barca? Francesca Bria?), magari personaggi poco noti al grande pubblico dei reality quanto coscienti del “che fare” in queste situazioni; piuttosto che furbetti formati alla corte del Grande Fratello. Solo immagine e tatticismi.

Comunque è certamente un gran bene che l’imboscata al premier, sotto forma di crisi parlamentare, sia stata schivata. Seppure non in pompa magna. Così continueremo ad avere alla guida del governo una persona perbene e animata da nobili propositi. Vista la fauna che c’è in giro, qualità da non disprezzare.