Economia

Recovery plan, perché ha poco senso la polemica sulla “novità” dei progetti: per la Ue l’importante è affrontare i ritardi cronici

La Commissione chiede anche di non imbarcarsi in lavori non realizzabili nell'arco temporale del Recovery fund. Nel documento italiano entreranno dunque molte opere già sulla carta che ora disporranno delle risorse per essere effettivamente realizzate. Alcune voci sono già individuate, dalla tratta AV Napoli-Bari, a cui andranno fino a 3 miliardi, alla ricerca, per cui ce ne sono 13. Per l'ammodernamento di scuole e ospedali dovrebbero arrivare 15 miliardi. Altri 9 per il rifacimento degli acquedotti

Il nodo gordiano lo ha sciolto con poche parole Mario Draghi: “Progetti nuovi o vecchi? Non importa, ciò che conta è che abbiano un valore sociale dimostrabile. Quel che bisogna valutare è se un progetto è utile o no. Se supera certi test che riguardano il suo tasso di rendimento sociale, come anche nell’istruzione o nel cambiamento climatico, oppure è semplicemente il frutto di una convenienza politica e di clientelismo“. L’ex presidente della Banca centrale europea è intervenuto così su una polemica, piuttosto sterile, su cosa realizzare con i 196 miliardi (tra prestiti e trasferimenti) in arrivo nei prossimi anni a valere sul Recovery fund. In particolare Matteo Renzi ha rimproverato il governo di destinare 88 su 127 miliardi di prestiti europei a progetti già esistenti.

Certo, la pandemia ha creato nuove esigenze e definito priorità di cui è giusto tenere conto. Ma non avrebbe davvero senso accantonare opere o piani non conclusi per mancanza o insufficienza di risorse. E a Commissione europea non dice alcunché sul fatto che i piani di ripresa nazionali debbano contenere progetti nuovi. Anzi, sottolinea che vanno evitati gli investimenti non realizzabili nell’orizzonte del Recovery, che si chiuderà nel 2026. E nelle sue raccomandazioni all’Italia batte e ribatte su quelli che sono i nostri ritardi cronici, come la lentezza dei processi o la scarsa efficienza della pubblica amministrazione.

Non c’è nessun obbligo di spendere tutti i soldi disponibili – A insistere sulla novità, insomma, il rischio è quello di rievocare Gioachino Rossini, che commentando il lavoro di un allievo sentenziò “Quel che è bello non è nuovo e quel che è nuovo non è bello”. Anche perché circa 80 miliardi sono trasferimenti, gli altri sono prestiti che fanno aumentare il debito pubblico e nessun Paese è tenuto a prenderli tutti. Al momento esiste una lista con quasi 600 progetti, alcuni da pochi milioni e altri da decine di miliardi di euro. E’ qui che si andranno a “pescare” i circa 60 interventi su cui vuole puntare il governo. Finché i progetti scelti non saranno tutti indicati con precisione è difficile quantificare quanto ci sia di nuovo e quanto attinge a piani e interventi preparati da tempo, anche se nella bozza del Recovery plan circolata la scorsa settimana il governo quantifica in 40 miliardi su 127 i prestiti che saranno destinati ad investimenti “additivi”, cioè nuovi.

Alta velocità e nuove tratte ferroviarie – Per il capitolo infrastrutture il governo ipotizza di spendere poco meno di 28 miliardi di euro di cui 23 per “alta velocità e manutenzione stradale 4.0″ e altri 4 miliardi per l'”intermodalità logistica integrata”. In questo caso di nuovo c’è poco si tratta di opere già ipotizzate da tempo e in diversi casi con i cantieri già avviati. Tra i progetti da selezionare compaiono l’ammodernamento ed efficientamento dei sistemi di traffico sulla rete ferroviaria (3 miliardi),il completamento della tratta Torino – Lione (1 miliardo di euro). Quattro miliardi e mezzo sono destinati alla linea ferroviaria Palermo-Catania-Messina, 3,3 miliardi alla tratta di valico Verona – Brennero e 650 milioni alla Venezia – Trieste. Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha indicato come priorità la tratta ad alta velocità Napoli-Bari, che è in parte già finanziata, anche grazie ad un maxi prestito della Banca europea per gli investimenti e che assorbirebbe altri 2,8 miliardi.

Oltre un terzo dei soldi per interventi “verdi” – La fetta più consistente dei fondi, 74 miliardi di euro, è destinata alla rivoluzione verde e transizione ecologica. Ci sono soprattutto 40 miliardi da utilizzare per riqualificazione ed efficientamento energetico degli edifici. Qui dovrebbe rientrare, almeno in parte, il maxi progetto di efficientamento e messa in sicurezza di ospedali e scuole. In origine il piano prevedeva stanziamenti per oltre 34 miliardi. Ne arriveranno una quindicina. Per l’edilizia privata ci sarà l’estensione per un anno del superbonus 110%, misura che vale circa 8 miliardi. Nove miliardi andranno “alla valorizzazione di territorio e risorse idriche”. Tra i progetti che rientrano sotto questa voce c’è un piano da 5 miliardi di euro per la ristrutturazione degli acquedotti che consentirebbe di superare le procedure di infrazione già da tempo avviate da Bruxelles. Altri 6 miliardi andranno a “impresa verde e economia circolare”, cinque miliardi sono prenotati da Taranto e Ilva di cui lo Stato è da poco diventato azionista diretto. La voce sotto cui sono ricompresi è “Piano nazionale di rilancio dell’industria siderurgica sostenibile”. Tra i progetti, già più o meno approvati, quelli nuovi valgono circa 20 miliardi, i vecchi 18.

Digitalizzazione e Innovazione Arriveranno quasi 50 miliardi di euro. Dieci sono destinati ad ammodernare i servizi della Pubblica Amministrazione. Si va dai miglioramento dei servizi cloud (3 mld), al rafforzamento delle piattaforme digitali (2 mld) e allo sviluppo di pagamenti e notifiche digitali (4 mld). Il presidente del Consiglio ha ribadito che ci sarà una riforma dei procedimenti civile, penale e tributario che comprenderà anche un rafforzamento degli organici dei tribunali. Nel capitolo digitale entrano anche 35 miliardi per l’ammodernamento delle imprese e sostegni all’innovazione.

Tre miliardi vengono destinati a cultura e turismo. Una cifra che ha acceso le proteste degli operatori del settore che la ritengono troppo bassa. Nella somma non rientrano però eventuali interventi per il miglioramento in chiave “verde” delle strutture ricettive, che attingerebbero da altre voci. Tra le ipotesi anche due miliardi da destinare allo sviluppo di portali e-commerce per le Pmi o un piano di sostegno di accesso al credito per le piccole e medie aziende, inizialmente concepito con un valore di 10 miliardi. Tra i progetti che dovrebbero essere selezionati c’è anche un rafforzamento della cyber sicurezza per cui viene stimata una spesa di 2 miliardi.

Istituti tecnici e scuola digitale – Raccolgono 19 miliardi di euro senza contare i fondi per l’edilizia scolastica che ricadono sotto altre voce. Dieci miliardi vanno al potenziamento della didattica e del diritto allo studio. Il ministro dell’Istruzione ha in cantiere un progetto di trasformazione digitale della scuola da quasi 2,7 miliardi di euro e un piano di sviluppo degli Istituti tecnici professionali da oltre 2 miliardi di euro.

Sanità ed ospedali – Come per la scuola non sono inclusi in questa voce gli interventi sul patrimonio edilizio. Al netto di questa voce ci sono a disposizione 9 miliardi di euro. Quattro miliardi dovrebbero servire per creare una rete di presidi di degenza temporanea sul territorio nazionale e cinque miliardi per sviluppare servizi di telemedicina. Altri 4 miliardi andranno alla digitalizzazione dell’assistenza sanitaria oltre che a innovazione e ricerca.

Parità di genere e coesione sociale – Ci sono i piani a sostegno dell’occupazioni con un ipotesi di riduzione del costo del lavoro che vale fino a 10 miliardi di euro e interventi a sostegno dell’occupazione femminile da 4 miliardi. Due miliardi è anche la cifra che sarà quasi certamente destinata al rafforzamento degli asili nido, nell’ottica di misure a sostegno della parità di genere.

Ricerca – I fondi per la ricerca sono distribuiti in diversi capitoli di spesa ma nel complesso dovrebbero ammontare a circa 13 miliardi. Questa è la cifra indicata dal ministro per l’Università e la Ricerca, Gaetano Manfredi. Dei 13 miliardi, 9 sono assegnati direttamente alla filiera che riguarda ricerca e industria, ai quali si aggiungono i fondi relativi alla formazione. A breve, inoltre, è attesa la pubblicazione del Programma Nazionale per la Ricerca 2021-2017, recentemente approvato dal Cipe e che comprende sei aeree: dalla salute alla cultura umanistica, da digitale e aerospazio al clima, fino alla bioeconomia e all’ambiente.