Economia

Rispunta la riforma del Mes: a novembre la firma. Donohoe (Eurogruppo): “Gualtieri ha rappresentato bene gli interessi degli italiani”

Il testo, che a marzo era stato congelato causa emergenza Covid, torna sul tavolo dei ministri delle Finanze. In Italia aveva suscitato polemiche politiche per il presunto automatismo nelle decisioni sulla sostenibilità dei debiti pubblici e la possibile richiesta di ristrutturazione

La controversa riforma del Meccanismo europeo di stabilità torna sul tavolo dei ministri finanziari della Ue che a marzo, impegnati con la risposta alla crisi Covid, l’avevano rinviata a tempi più tranquilli. Ora l’Unione, sebbene ancora alle prese con la più profonda recessione dal Dopoguerra, aspetta di vedere gli effetti del Recovery Fund e nel frattempo si avvia a chiudere la riforma che era stata a suo tempo concepita proprio per prevenire le nuove crisi. Ma in Italia aveva suscitato una marea di polemiche sul presunto rischio che un Paese in difficoltà possa essere costretto a ristrutturare il debito. L’Ecofin informale di Berlino, ha annunciato il ministro francese Bruno Le Maire, ha concordato un calendario che prevede di firmare il nuovo trattato Mes a novembre.

L’intento della riforma, avviata oltre due anni fa, era rafforzare e semplificare l’uso degli strumenti a disposizione del Mes prima del salvataggio di un Paese, ovvero le linee di credito precauzionali, utilizzabili nel caso in cui un Paese venga colpito da uno shock economico e voglia evitare di finire sotto stress sui mercati. La riforma elimina il contestatissimo Memorandum – quello passato alla storia per aver imposto condizioni rigidissime alla Grecia – sostituendolo con una lettera d’intenti che assicura il rispetto delle regole del Patto di stabilità. La riforma affida al Mes anche un altro compito, a tutela dei contribuenti: fornirà un paracadute finanziario (backstop) al fondo salva-banche Srf (il fondo unico di risoluzione europeo alimentato dalle banche stesse), qualora, in casi estremi, dovesse finire le risorse a disposizione per completare i ‘fallimenti ordinati’ delle banche in difficoltà. E’ uno dei tasselli mancanti dell’Unione bancaria che l’Italia aveva fortemente voluto.

Ma la polemica italiana sul nuovo Mes divampò a fine 2019 a causa della riforma delle “clausole di azione collettiva” (Cacs) negli eventuali casi di ristrutturazione del debito sovrano di uno Stato membro. In sostanza, dal 2022, sarà più semplice ottenere l’ok della platea degli azionisti per approvare la ristrutturazione di un debito sovrano, perché dalle attuali regole che richiedono una doppia maggioranza, si passerà a una maggioranza unica. Il ministro Gualtieri riuscì a strappare delle modifiche, puntando ad una via di mezzo tra i due sistemi. “Come nel Trattato già oggi in vigore, non c’è scambio tra assistenza finanziaria e ristrutturazione del debito – aveva chiarito a dicembre il governatore di Bankitalia Ignazio Visco – Anche la verifica della sostenibilità del debito prima della concessione degli aiuti è già prevista dal Trattato vigente”. E “non viene modificato il riferimento presente nella versione attuale del Trattato al coinvolgimento del settore privato, che rimane strettamente circoscritto a casi eccezionali e non è in nessun caso una precondizione per accedere all’assistenza finanziaria”.

Al termine della riunione il nuovo presidente dell’Eurogruppo Paschal Donohoe ha fatto un commento che fa pensare che il titolare del Tesoro italiano abbia nuovamente spinto su questo tasto: “Voglio elogiare, come membro dell’Eurogruppo, il modo esemplare in cui il ministro dell’Economia italiano Roberto Gualtieri ha rappresentato gli interessi dei suoi cittadini e del suo Governo” nelle discussioni europee, ha detto. “Capisco bene l’importanza della questione. Lavorerò con il ministro Gualtieri e tutti gli altri ministri dell’Eurogruppo per fare progressi”.

Ancora incerti invece i progressi sulla Web tax: i negoziati all’Ocse sono fermi a causa degli Usa, e quindi la Francia spinge perché l’Ue proceda da sola già da gennaio. Ma Irlanda e Lussemburgo restano contrari, e nemmeno la Germania è ancora convinta. Stesso stallo sull’ultimo tassello dell’Unione bancaria, cioè lo schema comune di assicurazione sui depositi: sul tavolo non c’è ancora una proposta che metta insieme le esigenze di chi vuole condividere i rischi e di chi vuole prima ridurli.