Televisione

I carabinieri di Piacenza parlano come i ‘guappi’ di Gomorra. Ma per me non è così strano

Tra gli imputati delle nefandezze che sarebbero state commesse nella caserma di Piacenza, compresi pestaggi e umiliazioni degradanti, qualcuno si sarebbe compiaciuto del grand guignol allestito con affermazioni quali “Hai presente Gomorra? Tu devi vedere gli schiaffoni che gli ho dato”. Parole provenienti da animi desiderosi di suggellare un’azione banalmente vessatoria impreziosendola con un pedigree che attinge direttamente dal lessico malavitoso tratto dalla serie Gomorra.

In questa ricerca di riferimenti “dotti” non si nota la repulsione o la presa di distanza da una narrazione criminale, né la condanna implicita della storia romanzata di una famiglia fuorilegge. Al contrario denota ammirazione, vanto. Emulazione. Perché uomini che hanno giurato fedeltà allo Stato dovrebbero avere come esempio le gesta di Savastano? Costoro non provengono dall’humus culturale malavitoso, non ne possiedono i codici, semplicemente si sono serviti di un argot lessicale diventato ormai parte del vocabolario nazional-popolare in quanto utilizzato in una serie tv celebrata, osannata, divenuta un fenomeno commerciale senza pari.

Roberto Saviano, dal cui libro la serie è liberamente tratta, parlando dei carabinieri di Piacenza sostiene che “Gomorra diventa lo specchio in cui si riflettono, addirittura il potere che vorrebbero raggiungere”. Credo piuttosto che le loro parole siano il frutto di un processo di emulazione ascrivibile al mondo della comunicazione di massa attuale, rete in testa, che dimentica spesso i concetti originari di denuncia per riprodurre gli slogan facendoli assurgere a contenuto.

Artisticamente parlando, da semplice spettatore, sono tra quelli, pochi in verità, che non ha mai creduto all’azione preventiva e immunizzante della saga di Gomorra a causa della sua eccessiva ridondanza nel tempo (siamo alla quarta serie). Non le ho mai riconosciuto la capacità di mettere in guardia lo spettatore dal fascino perverso della mala, scorgendo invece il rischio dello sdoganamento mediatico di un lessico prima quasi sconosciuto ora assurto a moda.

Ne ho guardato diverse puntate e nessuno mi potrà convincere che non contengano messaggi che si prestano a interpretazioni quantomeno equivoche. Una sequela ininterrotta di sopraffazioni ripagate col successo, la violenza sulla donna come stile di vita. Ragazzi che deridono la legge regolando i conti con pestaggi e agguati premiati con auto, soldi, bella vita. La cocaina come strumento di riscatto sociale. Il boss di rione come sostituto del padre. Il denaro come fine. La violenza come mezzo per quel fine. Le forze di polizia umiliate, ridicolizzate. Il carcere come luogo per “sfigati” che mancano di coraggio.

Forte è il rischio che da questa serie se ne esca con l’idea che la “guapperia”, alla fine, risulti uno stile di vita vincente. L’azione di denuncia che un’opera artistica racchiude sfuma laddove vince il godimento nella reiterazione infinita che, involontariamente, può mutare guappi e criminali in eroi metropolitani celebrati nelle magliette, nelle tazze da caffè, nelle cover di telefoni, quasi come Luì e Sofì dei Me contro te.

La felpa con una delle frasi cult della serie “Vien, vien’t a piglia’ ‘o perdon” in rete costa poco più di dieci euro, in tre taglie. Le t-shirt con le facce di Ciro e Jenny vanno via a dieci euro l’una. Appena un poco più costosa la cover per telefono con l’immagine di questi due assassini in posa ieratica, ovviamente con revolver in mano.

La vulgata mediatica ha forse fagocitato lo spirito iniziale dell’opera, riproducendone in maniera ridondante e vuota concetti e parole, facendoli involontariamente assurgere ad elemento a sé stante, dimenticando per strada l’originaria radice di denuncia e condanna del crimine. Ricordo che tempo fa, scendendo a Roma Termini, venivano vendute le magliette con impresso il logo “Banda della Magliana”.

Naturalmente gli autori della serie nulla potevano sapere delle sorti dei vocaboli e dei personaggi da loro messi in scena, così come autori e produttori della serie Gomorra sono all’oscuro del fiorire celebrativo dei loro personaggi negativi. Tuttavia, quando un lessico malavitoso viene troppo facilmente sdoganato ed usato in ogni dove, qualche domanda ce la dobbiamo porre tutti quanti.

A tal proposito, suggerisco un film bellissimo e crudele: La terra abbastanza. Narra del drammatico incontro di due ragazzi con la malavita locale. Nessun sogno, nessuna redenzione. Uno schianto che produce sangue, morte e vendetta. Quando l’ultima drammatica scena sfuma, i titoli di coda ricordano allo spettatore che quel mondo è feccia, e come tale va trattato.