Giustizia & Impunità

Vaticano, inchiesta sul palazzo di Londra: nel mirino la trattativa tra la Santa Sede e il broker arrestato per far uscire quest’ultimo dall’affare

I magistrati vogliono capire se dietro la cifra pattuita tra Torzi e la Segreteria di Stato (per far cedere al manager le quote dell'immobile incriminato) ci sia stata estorsione dal parte del broker di origini molisane

Dopo la lunga pausa imposta dal lockdown per il coronavirus, la magistratura della Santa Sede ha ripreso le indagini sulla compravendita dell’immobile londinese di Sloane Avenue nel quale la Segreteria di Stato ha investito 200 milioni di dollari. Di cui 140 milioni per l’acquisto del palazzo e il resto della cifra da investire. Ma oggi, tra acquisto e debito esistente sull’immobile, l’impegno finanziario del Vaticano si aggira intorno ai 300 milioni di euro. La svolta clamorosa delle indagini è arrivata con l’arresto di Gianluigi Torzi, broker molisano residente nella Capitale britannica. “All’imputato – come precisa un comunicato della Sala Stampa della Santa Sede – vengono contestati vari episodi di estorsione, peculato, truffa aggravata e autoriciclaggio, reati per i quali la legge vaticana prevede pene fino a dodici anni di reclusione”. Torzi, che è attualmente detenuto in una cella della caserma della Gendarmeria, è stato l’intermediario ingaggiato dalla Segreteria di Stato, guidata nel frattempo dal nuovo sostituto, il venezuelano monsignor Edgar Peña Parra, per traghettare l’immobile dal fondo Athena controllato dal finanziere Raffaele Mincione verso una società controllata totalmente dal Vaticano.

Stando alle accuse, Torzi nell’operazione avrebbe incassato una provvigione di 10 milioni di euro. Il broker molisano, però, attraverso acrobazie finanziarie sarebbe riuscito a tenere in pugno il Vaticano trattenendo, all’insaputa dei vertici della Santa Sede, mille azioni dell’immobile, le uniche con diritto di voto. In seguito, a quanto risulta a ilfattoquotidiano.it, per uscire da questo impasse la Segreteria di Stato ha cercato di pattuire con Torzi l’uscita dal palazzo versandogli 15 milioni di euro e non 20 come aveva preteso inizialmente. I magistrati ora vogliono chiarire se c’è stata estorsione. Inizialmente, infatti, la Segreteria di Stato non ha acquistato direttamente il palazzo di Londra, ma ha sottoscritto le quote del fondo che faceva capo a Mincione. Ed è qui che entra in scena Giuseppe Conte. Il legame tra il futuro premier e l’investimento del Vaticano nella capitale britannica è proprio Athena che ha realizzato l’operazione. La Segreteria di Stato era l’unico investitore del fondo con 200 milioni di dollari. Conte emise un parere giuridico per Fiber 4.0, una cordata di azionisti di Retelit di cui Athena aveva il 40 per cento, secondo il quale il voto dell’assemblea dei soci sulla nomina del consiglio di amministrazione avrebbe potuto essere impugnato dal governo usando il “golden power”, cioè un potere di intervento dell’esecutivo su società considerate strategiche.

L’inchiesta vaticana parte agli inizi dell’estate 2019 quando l’Istituto per le opere di religione e l’ufficio del revisore generale denunciano l’operazione finanziaria sull’immobile di Londra. Cinque funzionari della Santa Sede vengono subito sospesi: monsignor Mauro Carlino, che era stato da poco nominato da Papa Francesco capo ufficio informazione e documentazione della Segreteria di Stato; Tommaso Di Ruzza, direttore dell’Autorità d’Informazione Finanziaria, genero dell’ex governatore della Banca d’Italia Antonio Fazio, di cui ha sposato la figlia Valeria Maria; Vincenzo Mauriello, minutante dell’ufficio del protocollo della Segreteria di Stato; Fabrizio Tirabassi, minutante dell’ufficio amministrativo della Segreteria di Stato; e Caterina Sansone, addetta di amministrazione della Segreteria di Stato.

Il documento della Gendarmeria vaticana con le foto delle cinque persone sospese viene diffuso sui giornali e questo costa il posto al comandante del corpo Domenico Giani costretto dal Papa a dimettersi per non aver trovato la talpa. Proprio mentre il direttore dell’Aif è sotto indagine, il 27 novembre 2019 Francesco nomina il dirigente della Banca d’Italia Carmelo Barbagallo presidente dell’Autorità d’Informazione Finanziaria della Santa Sede al posto dell’avvocato svizzero René Brüelhart. Il 18 febbraio 2020 ai cinque funzionari indagati si aggiunge anche monsignor Alberto Perlasca, che era stato recentemente nominato dal Papa promotore di giustizia aggiunto del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica, ma che all’epoca dei fatti contestati era capo ufficio amministrativo della prima sezione della Segreteria di Stato. Il 15 aprile 2020 il cardinale Segretario di Stato vaticano Pietro Parolin nomina direttore dell’Aif Giuseppe Schlitzer “subentrando – precisa la Santa Sede – al Dott. Tommaso Di Ruzza che il 20 gennaio scorso ha concluso il suo mandato quinquennale”.

Il genero di Fazio è, dunque, il primo dei sei funzionari indagati a essere allontanato dai sacri palazzi. Il 30 aprile successivo il cardinale Parolin, a nome del Papa, firma le lettere di licenziamento di monsignor Perlasca, monsignor Carlino e Mauriello. Tirabassi viene, invece, prorogato fino al 31 luglio successivo, ma solo perché non era stato ancora interrogato dai magistrati. Mentre l’unica donna indagata, Caterina Sansone, viene spostata dalla Segreteria di Stato in un altro dicastero della Curia romana. Dopo i licenziamenti, Francesco ha ricevuto in udienza privata a Casa Santa Marta sia monsignor Perlasca che monsignor Carlino per ascoltare le loro ragioni. Entrambi, come del resto gli altri quattro funzionari indagati, si sono sempre dichiarati innocenti in questa vicenda. Nei sacri palazzi ora si ipotizza che i magistrati potrebbero presto ascoltare anche il sostituto della Segreteria di Stato, monsignor Peña Parra. L’unico, secondo gli inquirenti, capace di dare tutte le risposte alle loro domande.

Twitter: @FrancescoGrana