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Coronavirus in Brasile, Bolsonaro parla (troppo tardi) di minaccia. E a rimetterci sono i più poveri

Ci siamo lasciati con il discorso a reti unificate del presidente che, rivolto alla stampa, minimizzava il rischio pandemia, definendo il Covid-19 uma gripezinha” – un’influenza da poco – chiedendo di tornare al lavoro per guadagnarsi il pane, “perché la miseria uccide più del virus”. Un’uscita avventata, che metteva a serio rischio l’operato del ministro della Salute Luiz Mandetta, il quale era riuscito fino ad allora a contenere l’espansione dei casi e limitare il numero dei decessi, imponendo l’isolamento federale e lo stop alle produzioni non essenziali. “O così, oppure il sistema sanitario brasiliano andrà in collasso nel mese di aprile, e anche pagando sarà difficile accedere alle cure necessarie” aveva ammonito.

Ora, dopo l’exploit di Jair Bolsonaro, e l’uscita anticipata dalla quarantena di alcuni stati specie nel Nord Est, il contagio accelera. Andiamo per ordine: i casi in Brasile registrano una brusca impennata, passando dai 4.500 del weekend ai 6.836 di mercoledì 1° aprile, mentre i decessi aumentano da 150 a 240; la vittima più giovane, un ragazzo obeso di 23 anni. Un tasso di crescita di circa il 60%, il più alto finora.

Mandetta aveva già contraddetto apertamente il presidente lunedì, tenendo duro sul massimo isolamento e il rispetto della distanza di sicurezza. Bolsonaro prova a ribattere che lo stesso direttore Oms avrebbe confermato la sua tesi, riportando uno spezzone del discorso tenuto da questi in Africa. In realtà egli travisa volutamente il passaggio più importante di Tedros Adhanom, quando dichiara che è dovere dei governi nazionali assistere chi è costretto a casa dalla quarantena senza mezzi di sostentamento. Il direttore Oms si è limitato a constatare che in Africa la gente è costretta a lavorare ogni giorno per portare a casa il pane, e deve essere assistita se rimane bloccata.

Inaspettatamente, il ministro di Giustizia Sérgio Moro irrompe in scena quando, senza timori reverenziali e forte della popolarità di cui gode, striglia Bozo (nomignolo affibbiato al presidente mutuato dal celebre clown) dichiarando che è compito esclusivo del ministero della Salute orientare il paese sulle misure da prendere e, pur essendo d’accordo sul fatto che l’economia va salvaguardata, la salute dei cittadini è prioritaria. La sera stessa, nel notiziario tv, Bolsonaro cambia completamente tono, ammettendo che il Covid-19 è una minaccia seria senza ancora una cura certa, e che farà il massimo sforzo per coniugare la tutela della salute pubblica con il lavoro.

Intanto però il danno è fatto: la gente è uscita dalle gabbie, invadendo di nuovo le strade e i parchi, facendo jogging e sudando in palestra. E il virus gongola.

Il problema degli ammortizzatori sociali inesistenti in Brasile è il migliore alleato della pandemia. Per il ceto basso non ci sono altre alternative: lavorare infettando, o stare a casa e morire di fame. Una sorta di gioco della Torre che riguarda solo la manodopera più bistrattata, la quale, oltre a subire l’insulto abituale di un salario minimo mensile fissato a 1045 R$ (950 nel Nord Est) ora, senza poter lavorare, deve sperare almeno in un’indennità di disoccupazione pari a 450 R$ per famiglia, 87 euro, suggerita da Ipea (Instituto de Pesquisa Econômica Aplicada).

Pannicelli caldi, considerando che una famiglia delle favelas è composta in media da 5-6 persone, calcolando anche un anziano a carico. Settantacinque R$ extra a cranio, sempreché la proposta venga approvata.

Paradossalmente va meglio a quelli che fanno i lavori peggiori: a São Paulo il prefetto Bruno Covas ricompenserà con 1200 R$ extra per famiglia 2300 gruppi familiari che costituiscono le cooperative autonome dei catadores de lixo reciclável, i raccoglitori di rifiuti incaricati della separazione dei materiali riciclabili: carta e cartoni, stracci, vetro e alluminio ricavato dalle lattine usate. Un lavoro duro, ma tra i mestieri umili degli excluídos, forse quello pagato meglio. Quasi 6 milioni di real sono stati messi a loro disposizione dalla Prefettura.

Tra l’altro, nella metropoli più grande del Brasile e la più malata, che da sola ha prodotto il 50% dei decessi nel Paese, le uniche categorie esentate dalla quarantena sono i catadores che fanno la raccolta porta a porta – ora che il coprifuoco costringe la gente dentro casa – i riders delle consegne di cibo a domicilio, e ovviamente i corrieri. Tutti freelance, gli unici veramente indispensabili durante un’epidemia o una guerra. Quasi tutti di pelle scura.

È la legge del contrappasso: in una società razzista fino al midollo qual è quella brasiliana, divisa per caste, con al vertice la minoranza bianca che possiede tutto – fabbriche, alberghi, ville e mezzi di produzione – e che stipa in favelas malsane infestate da zanzare senza acqua corrente decine di milioni di miserabili, adesso è proprio da questi che dipende la vita dei privilegiati. Il virus è la cartina di tornasole di una società medievale basata sullo sfruttamento.

(Testi e foto: Flavio Bacchetta Copyright)