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Coronavirus, Giuseppe Conte ha l’occasione per ribaltare il tavolo in Europa

È ora di ribaltare il tavolo in Europa, Giuseppe Conte ha davvero un’opportunità storica, di quelle che solo guerre o epidemie offrono ad una nazione. E diciamolo, forse non è nemmeno un’esagerazione affermare “Qui si fa l’Europa o si muore” (di Coronavirus) traslando la celebre frase attribuita a Garibaldi, riferita al no del patriota in camicia rossa al generale Nino Bixio che suggeriva la ritirata.

Oggi abbiamo quattro nazioni che con il 20% della popolazione ricattano (termine forte ma appropriato) la stragrande maggioranza dell’Ue. Quattro paesi – tre minuscoli e un colosso – ostacolano qualsiasi piano finanziario che ponga come prioritaria l’emergenza sanitaria del Covid-19, le misure per fronteggiare la Grande Depressione che ne deriverà (il Pil Italia è previsto in crollo nel primo semestre a -12%: inaudito), e infine la ricostruzione e ripartenza, nel 2021, di tutte le economie nazionali oggi ferme.

Il 20% della popolazione europea contro il restante 80%, non è assurdo? Come non era mai accaduto in precedenza, oggi per via del cigno nero chiamato Coronavirus, le carte e le trame sono scoperte, così è finalmente chiaro per quale motivo l’Europa non funziona. Il passo in avanti comune, la solidarietà e la vera Unione, viene bloccato da Olanda (un paradiso fiscale nel cuore del Vecchio Continente a cui per decenni abbiamo lasciato imboscare centinaia di miliardi) dalle minuscole e irrilevanti Austria e Finlandia, e infine dal declinante gigante teutonico da cui tutto dipende, la Germania.

Così capita che il premier per caso, ex avvocato del popolo, dopo aver rifiutato la bozza di accordo proposta ai capi di Stato e di governo Ue, nei prossimi giorni potrà far sul serio, con quella cattiveria che un po’ gli manca. Può trasformare il caso Italia, paese fondatore dell’Unione oggi devastato da 10.000 morti e 2,4 trilioni di debito, in quel catalizzatore che, senza esagerare, potrebbe cambiare il corso della storia: “Qui si fa l’Europa o si muore”. Cioè o ci si accorda su una maxi piano Marshall europeo o si sfascia tutto, ognuno va per sé.

Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella suggerisce che il governo non si cambia nel corso di un’emergenza, e meno male, così come Mario Draghi non ha alcun ruolo da recitare in questo momento, e spero nemmeno in seguito (per me sarebbe folle affidare le nostre sorti a un ex banchiere della Goldman Sachs, dandogli i panni di supereroe di sovranisti e di una destra frustrata in cerca di uomini forti). Ma quanto solida è la maggioranza che ha mandato Conte a Palazzo Chigi? Abbastanza. Per esempio, una controprova è che Renzi è ormai trascurabile; eppure il quadripartito M5S-Pd-LeU-Iv dovrà passarne di prove toste nei prossimi giorni.

Un primo assaggio di quel che capiterà lo si è avuto con il tentativo d’emancipazione di Conte dalla temporeggiatrice – la cunctatorAngela Merkel. Il presidente del Consiglio – un uomo che legge molto, si informa, si consulta senza pregiudizi – ha all’improvviso messo in un cono d’ombra il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri, del quale a mio avviso adesso sono evidenti i limiti, la mancanza di coraggio, la subalternità all’olandese vicepresidente della Commissione Europea Frans Timmermans. Gualtieri è preparato sì, ma non basta, perché è la quintessenza della vecchia guardia.

Il capo del Mef rappresenta quell’Europa che nella call con la Cancelliera di Berlino ha fatto sbottare Conte: “Guardi il mondo con gli occhiali di ieri” e “basta con gli strumenti vecchi, ce ne vogliono di nuovi”. Insomma, il premier sta cercando di svincolarsi dall’asse del deep state in quota Pd che va da Ignazio Visco in Banca d’Italia (chapter dell’Eurosistema Bce) passa per il commissario europeo Paolo Gentiloni (che oggi ha pronunciato parole molto critiche nei confronti del dibattito in Ue), e per quei grand commis ed economisti come Pier Carlo Padoan, ex Ocse ex ministro dell’Economia oggi zingarettiano, e Lorenzo Bini Smaghi, ex membro del board Bce, presidente di Société Générale. Tutti i Timmermans Boy invocano l’uso del Mes, parte dell’antico armamentario di Bruxelles, inadeguato prima e ancor più ora in fase di pandemia, a cominciare proprio dal fondo salva-stati. Ma qui non si tratta di salvare uno stato che ha errato la sua politica economica, è cruciale far fronte comune per superare l’emergenza Coronavirus.

Pure via Nazionale vorrebbe far intervenire con il Mes la famigerata Troika (Bce, Commissione Europea e Fmi) in pratica il commissariamento l’Italia, un iniquo e scadente surrogato di democrazia e mercato. Per questo fa benissimo il M5S ad opporsi con forza – e Luigi Di Maio, in veste di ministro degli esteri lo ha confermato in un’intervista a Lilli Gruber a Otto e Mezzo su La7 – per fare l’Europa non è lecito incartarsi sulle “condizionalità” e su percentuali, temi adatti a burocrati o, peggio, contabili. Bisogna dare fiducia, una visione coerente e condivisa a 513 milioni di cittadini europei alla prese con una pandemia di dimensioni bibliche. Dopo quanto è accaduto in Grecia per mano della Troika – una politica criminale che ha distrutto i greci – vogliamo fare il bis?

Per questo Conte ha oggi un’occasione davvero storica, appoggiato da un M5S ricompattato, di smascherare il deep state che vuole svendere l’Italia ai poteri forti del Nord, puntando in alternativa a far convergere il consenso della maggioranza europea sulle proposte italiane: o CoronaBond oppure l’helicopter money, con almeno 1500 euro a testa per un anno elargiti dalla Bce a tutti.

La gente soffre, non lavora e non guadagna, anche papa Francesco lo ha detto urbi et orbi. Certo, ribaltare veramente il tavolo significherebbe far capire che non bluffiamo. Il che vorrebbe dire “vedo”, fino al punto di far tornare la Germania al marco, la Finlandia al markat, l’Austria allo scellino e l’Olanda al fiorino, e tutti gli altri fermi nell’euro. Un terremoto catartico, con conseguenze collaterali non indifferenti: pensate, renderebbe orfani i sovranisti e i salviniani più beceri.