Cultura

Leone Magiera pubblica il ritratto del Maestro Karajan. Con una prefazione particolare

Leone Magiera è un giovanotto di 85 anni, colto, spiritoso, gentile. Eccellente pianista, accompagnatore di cantanti famosi, apprezzato dai massimi direttori, pubblica ora il saggio Karajan: ritratto inedito di un mito della musica (La nave di Teseo 2020).

Il libro si legge d’un fiato. Magiera parla del direttore tedesco col quale, in qualità di maestro preparatore, ha collaborato per una quindicina d’anni a Salisburgo; racconta anche i rapporti artistici e umani intessuti con molte personalità della musica, cantanti, direttori, sovrintendenti. “Karajan l’ho amato molto”, mi dice, “era impareggiabile, sicuro di sé, dalla facilità prodigiosa, era ‘impastato di musica’; quando dirigeva orchestre prestigiose, come i Berliner Philarmoniker, poteva affrontare un’opera quasi senza prove; era invece estenuante nel provare con orchestre nuove”.

Magiera mette in luce anche gli aspetti quotidiani del Maestro. Al quale piaceva conversare, scherzare, bere un cognac in compagnia. Aveva il gusto del pettegolezzo, e certo nei teatri la materia non manca. Magiera evoca anche Carlos Kleiber: eccentrico nella vita ma acribico sul podio, era capace di lasciare bigliettini sui leggii degli orchestrali perché rammentassero un colore, una sonorità, un fraseggio. Col tempo, prosegue Magiera, “questo spasimo per la perfezione gli fece ridurre il repertorio da quaranta a cinque, sei opere, eseguite divinamente”. E poi ci sono Claudio Abbado, con la sua generosità e la memoria prodigiosa, e Riccardo Muti, sul quale Magiera non sottace qualche riserva circa talune scelte ‘filologiche’.

Indugia poi sull’attività didattica da lui condotta a Salisburgo, dove preparava sia giovani cantanti sia professionisti affermati. “La maggior difficoltà”, dice, “era spiegare i libretti delle opere. Mi arrangio in varie lingue, ma parlavo spesso in italiano, idioma obbligatorio per chi s’interessa al melodramma: certi termini e concetti dei testi sono però ardui da tradurre in parole correnti”. Karajan giungeva alla fine della lezione, e discuteva scelte e difficoltà. Uno scambio continuo, entusiasmante. Come entusiasmanti erano i rapporti di Magiera con i cantanti, Luciano Pavarotti in primis. “Era travolgente, possedeva un istinto musicale portentoso, una voce incomparabile, era talento allo stato puro; non conosceva la musica, gli ho insegnato a cantare per imitazione”, secondo un’antica tradizione italiana.

Dedica pagine deliziose a Montserrat Caballé, a Piero Cappuccilli, all’organizzazione teatrale, ai patemi per le ‘prime’ operistiche. E già, perché quando il sipario si apre e il cantante esce in scena, lì davanti c’è un pubblico in tensione, disposto a osannare ma anche a distruggere. In questo la Scala di Milano è unica. Non si sfugge ai loggionisti, alle fazioni che seguono i cantanti anche in tournée e li sostengono l’uno contro l’altro: una sorta di football melodrammatico.

“Il pubblico”, riprende Magiera, “attende la ‘stecca’, un peccato mortale non perdonabile; e dire che può capitare anche nel parlare: a volte anche la nostra voce si rompe. Non è rivelativa della bravura dell’artista, ma il pubblico non la tollera, ha bisogno di demolire gli idoli”. Nel libro racconta come la Caballé, in non perfetta salute, cantasse alla Scala nell’Anna Bolena di Donizetti. Nel recitativo “Infiorato è l’altar”, dove arriva un Do acuto improvviso, la voce le si ruppe e si tramutò quasi in urlo.

Il loggione si scatenò con epiteti sonanti e un non signorile coro di “Torna a casa, zingara!”. Da parte sua, Karajan, da lontano, aveva tutto previsto: “Difficile che superi indenne l’ultima aria!”. La Caballé, con molta professionalità, concluse la recita e ripartì per Barcellona. La Scala andò in crisi. Ma ancora Karajan, da lontano, suggerì una cantante 19enne: era Cecilia Gasdia. Nell’Anna Bolena, lì dove Caballé era stata sbranata, superò brillantemente la prova, e riscosse ovazioni osannanti. Era nata una stella.

Il libro di Magiera porta la prefazione del grande soprano Mirella Freni, deceduta il 9 febbraio scorso. Per 20 anni è stata la moglie di Leone e gli ha dato una figlia: “Mirella aveva una musicalità infallibile, come Luciano non sapeva la musica, ho lavorato tanto con entrambi, lei è diventata un’artista meravigliosa”.

Herbert von Karajan fu essenziale anche per la Freni. L’aveva sentita non si sa dove – il Maestro si travestiva per non farsi riconoscere e andava in teatro ad ascoltare –, la chiamò per La Bohème. Da lì iniziò la straordinaria carriera di Mirella. Oggi Leone è felicemente sposato con Lidia, un medico. Freni ebbe poi per compagno il basso Nicolaj Ghiaurov, ma non si risposò: “di marito gliene era bastato uno…”, conclude sornione Magiera.