Politica

Salvini, Renzi, Di Maio: non aspettiamoci più nulla dalla generazione dei 30-40enni

“Dove ci stiamo dunque dirigendo? Nessuno saprebbe rispondere, perché ci mancano ormai i termini di confronto”. Così scriveva quasi due secoli fa Alexis de Tocqueville iniziando il suo celebre viaggio ne La Democrazia in America, nelle delizie conclamate (e nelle trappole occulte) del principio di rappresentatività.

Un po’ lo stesso stato d’animo odierno, mentre ci si addentra nei meandri inesplorati della post-democrazia moderna. Un percorso iniziato una quarantina di anni fa con la messa in liquidazione della fase storica precedente (welfariana), che ha visto giungere al potere i 30-40enni. La “generazione X-Y” (pre wireless) dei “Mattei” Salvini e Renzi, di Luigi Di Maio. Giovanotti esposti indelebilmente/irrimediabilmente al contagio dei dis-valori individualistici ed esibizionisti del tempo, tra l’avidità di potere e l’ansia di apparire. Il successo personale a qualunque costo come antidoto allo smarrimento esistenziale, in mancanza di riferimenti solidi e certi.

Quell’assenza di una qualche direzione, di un senso di marcia che spinge a trovare illusorio rifugio nelle semplificazioni della presunta scienza economica e che vorrebbe ridurre la complessità umana al puro calcolo dell’interesse; per cui la politica diventa marketing, a sua volta ridotto a promo-pubblicità. Abito mentale degli “X-Y”, oggi alla guida della società, molto funzionale a far vincere elezioni e a conquistare il potere quanto praticamente inetto a risolvere problemi e sciogliere nodi della convivenza sociale.

Sicché, dato che il pensiero del cambiamento latita, in queste lunghe derive inintelligibili è forte la tentazione di adottare modelli di comportamento retrò: Matteo Salvini si atteggia a macho; Luigi Di Maio cerca rifugio nell’immortale esempio del notabile doroteo; Matteo Renzi presume post-moderno rivangare machiavellismi d’accatto da “principe volpe e lione”.

Revival immancabilmente ridicoli: l’insegnamento di Ser Nicolò nella pratica renziana si riduce a una serie ininterrotta di colpi bassi e porcate, che si ritorcono contro il loro autore avvolgendolo in un alone di inaffidabilità e antipatia. La curiale sapienza democristiana, ridotta a esibizione di tatticismo e furberie, evidenzia nel Luigino tutti i limiti dell’improvvisato, resi ancora più imbarazzanti dalla tendenza alla gaffe di chi si presumerebbe già “imparato”. Le “battaglie” a torso nudo del padano finiscono per avere come avversari innocui tortellini al pollo e la sua predicazione di una cristianità intransigente trova problematici apostoli nelle figure simoniache dei Siri, Savoini, Rixi o Arata.

Unica figura in campo per tenere a bada i virgulti dell’infornata generazionale – che il sociologo Robert Putnam definirebbe free riders –, privi di spirito civico e intrisi di cinismo, risulterebbe il 55enne Giuseppe Conte: dunque cresciuto nella modernità di prima Repubblica e scopertosi leader politico di sinistra nel momento in cui ha incominciato a giocare in proprio (dopo essere stato chiamato alla presidenza del consiglio da professionista che gestisce un contratto per conto di due contraenti).

Con tutta la simpatia per questo homo novus, che si dichiara ispirato al cristianesimo democratico, e per il suo tentativo di incivilire l’attuale contesto, suscita qualche perplessità la tendenza a compiacere la clientela tipica dell’avvocato. Come in quella sgradevole riduzione della questione finis vitae a “diritto alla morte”, che suona “dovere di soffrire” (sempre non sia un ben poco moderno rigurgito di religiosità arcaica alla padre Pio, di cui Conte serba l’immaginetta).

A questo punto l’unica speranza diventa la generazione “Z” che riscopre la politica nel modo incontaminato dei Fridays for future, al traino della spinta mediatica di Greta Thunberg: i ragazzi che ottusi burocrati senza visione, ossessionati dalla messa a repentaglio delle loro certezze e privilegi, irridono come “gretini” (e mentre lo dicono, un filo di bava verde appare ai lati della loro bocca).

Non aspettandoci più nulla da moderni e post-moderni, potremmo convenire con Elsa Morante e la sua idea de “il mondo salvato dai ragazzini”. Che un’idea di dove questo mondo va dirigendosi ce l’hanno. E si preparano a contrastarlo.