Elezioni Europee 2019

Europee 2019, gli errori di M5S sono stati vari ma ce n’è uno più grave degli altri

Il risultato che ha decretato il trionfo della Lega al 34%, il tonfo del M5S al 17%, il sorpasso del Pd al 22%, il “voto last minute” che, secondo Nicola Piepoli e molti altri sondaggisti circa il 9% di italiani avrebbe maturato in extremis (se non in cabina elettorale) ha ribaltato i rapporti di forza all’interno del governo e ha disegnato una virtuale maggioranza alternativa Matteo Salvini-Giorgia Meloni tutt’altro che scontata alla vigilia, con l’impresentabile “padre nobile” che ha portato Fi a dimezzare i consensi fuori dalla porta.

Che i numerosi indecisi, perplessi, delusi sarebbero stati determinanti e che il dato dell’affluenza – fermo al 56,1%, di poco inferiore al 57% del 2014 che decretò l’effimero trionfo di Matteo Renzi – sarebbe stato rilevante era noto, come pure era prevedibile che l’astensione avrebbe colpito duramente il M5S, già fortemente penalizzato alle recenti amministrative e responsabile di averla rimossa e/o sottovalutata.

Ciò che sembra quasi incredibile è l’assoluta sicurezza con cui tutti gli osservatori e gli “addetti ai lavori” sostenevano all’unisono che la partita italiana si sarebbe giocata su pochi punti percentuali in più o in meno per ogni formazione, al fine di decretare vittorie o sconfitte. Al contrario, i risultati sono netti e inesorabili come non mai, i vincitori e i vinti sono riconoscibili e identificabili come i beati e i dannati del Giudizio universale della cappella Sistina con la relativa eccezione del “nuovo” Pd di Nicola Zingaretti, che sorpassa di ben cinque punti percentuali gli odiosi alleati-compari della Lega “fascistizzata” da Salvini grazie a slogan come “chi vota M5S vuole Salvini agli Interni”, ma non porta nuovi voti al Pd, che anzi ne perde circa 110mila.

E per supremo paradosso gli elettori già del Pd, che per disperazione o ripicca avevano votato alle politiche M5S e che “pentiti” sono ritornati all’ovile – insomma i fedifraghi che Paolo Virzì vorrebbe cacciare definitivamente perché contaminati dal “fascismo grillino” – probabilmente convinti di aver assecondato la “deriva autoritaria” hanno contribuito ad abbattere l’unico argine allo strapotere salviniano rappresentato da Giuseppe Conte, ora in bilico, e Luigi Di Maio all’angolo.

Invece “il pallone gonfiato” è più gonfio che mai, ma di voti, e ha fatto capire chiaramente che non cambia nulla negli assetti di governo purché la sua agenda con Tav, Flat tax, autonomie fili liscia e senza intoppi di sorta e, sottinteso, il M5S non infastidisca più di tanto con tutti i suoi No, i “nuovi casi Siri”, il conflitto di interessi che nel dopo Silvio Berlusconi non appassiona più nessuno, la fissa con la prescrizione e la legalità.

Gli errori del M5S sono molteplici e di varia natura: da subito non aver cercato di tenere visibili costantemente i temi identitari, benché la convivenza governativa con la Lega facesse sembrare più facile e praticabile il pragmatismo del giorno per giorno e “i piccoli passi” di Di Maio in versione sempre più rassicurante e governativa, anche esteticamente. Poi nell’ultimo scorcio della campagna elettorale semi-permanente per le Europee il duello quotidiano con Salvini più spregiudicato, disinvolto, brutalmente diretto e perfettamente sintonizzato con il suo elettorato, nonché avvantaggiato dalla consuetudine con il potere e dalla demonizzazione dei Roberto Saviano & co. (che lo ha fatto ancor più benvolere) e il contestuale tardivo “riposizionamento a sinistra” di Di Maio hanno solo spostato voti dal M5S alla Lega e non ne hanno sottratti al Pd o alla sinistra.

Ma la questione delle questioni riguardo alla domanda sconfortata “come mai?” che si pongono tanti elettori, simpatizzanti e cittadini – che pur consapevoli dei limiti, delle ingenuità e del deficit di coerenza in cui a volte è incorso il M5S in questo anno di governo vissuto più che drammaticamente confidavano in un risultato “meno disastroso” – mi sembra la individui chiaramente Vincent Russo, social media manager de Il Fatto Quotidiano. Si tratta dell’enorme distorsione tra quello che il M5S ha fatto e come è stato comunicato, ovvero “la grande falla del M5S è stata avere tutti i media o quasi contro e aver fatto poco o niente per contrastarli”. Molto opportunamente, Russo specifica che si riferisce all’intera composizione del “sistema mainstream” e cioè tutto il panorama informativo: in senso stretto più tutto l’infotainment, dai protagonisti alle comparse, una cappa pervasiva e capillare a cui non è possibile sottrarsi.

Si tratta di qualcosa che non si è mai verificato prima nei confronti della maggiore forza di governo e che deriva semplicemente, a mio modestissimo parere, dal fatto che “i 5S sono al governo ma non sono il potere” come ha spiegato Pietrangelo Buttafuoco che non mi stanco mai di citare. Ed è evidente che l’ostilità del sistema, se è limitante quando sei all’opposizione, è letale quando sei al governo; tanto più – aggiungerei – in forza di un contratto con un partner apparentemente aborrito ma realmente vezzeggiato dal sistema mediatico. Quanto la narrazione demolitoria sul doppio binario degli “incapaci, sprovveduti, impreparati” e degli ipocriti “garantisti in casa loro” e “ferocemente giustizialisti” con gli avversari abbia fatto breccia, l’ho constatato nei discorsi da bar: “almeno quelli di prima rubavano ma erano capaci” come, più tristemente,  nelle obiezioni di chi li aveva votati ed è rimasto a casa: “Lascia stare Armando Siri, loro di inquisiti ne hanno più degli altri”.

Temo che a questa narrazione distorta e totalmente mendace, in sostanziale assenza di voci fuori dal coro, abbiano creduto in molti, indistintamente di destra e di sinistra, ignoranti e “colti”, spalmati su astensione, Zingaretti, Salvini. Tutti beatamente ignari di quel poco o molto di buono che ha fatto il M5S succube dell’ostilità mediatica, anche dagli scranni di governo benché, of course, accusato di lottizzare come e più degli altri, essendo come e peggio degli altri. Che cosa avrebbe potuto e dovuto fare il M5S per contrastare o arginare lo spiegamento di forze che non li voleva al governo e ha operato solo per sfrattarli senza usare in Rai i metodi noti e collaudati non mi è perfettamente chiaro: rimando al post illuminante di Vincent Russo.

Mi unisco all’auspicio che la severissima lezione uscita dal voto del 26 maggio di cui ha parlato Di Maio induca a recuperare brani di identità rimossi, a riprendere “un concerto a più voci” e a porsi come centrale il tema della percezione del proprio operato.